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Piccola Posta
La pace secondo Woytjla e quella discussa su due sedie, come nelle osterie
Francesco ha avuto, sulla pace e sulla guerra, una posizione decisamente simile a quella di Gino Strada. L'uno e l'altro hanno ignorato la necessità di una forza internazionale legittima che faccia finire le guerre, e non le faccia cominciare. Un ideale condiviso invece da Giovanni Paolo II
In morte di Giovanni Paolo II i numeri dei pellegrini e dei partecipanti furono, dicono le fonti, di gran lunga maggiori di quelli per Francesco. Rifatte le proporzioni, direi però che l’alluvione di cristiani, credenti e no, di questi giorni, sia stata meno attesa, e meno segnata dalla devozione – specialmente dalla devozione “polacca” – e più da una estrema confidenza della gente con la persona e con i luoghi solenni. Questa domestichezza sicura, senza soggezione, questo star di casa nelle basiliche, come è stato presto chiaro, vale da caparra sulla scelta del conclave. Se “un altro Francesco” non potrà esserci, qualunque velleità di tirar fuori un anti Francesco è cancellata. Non direi “a furor di popolo”, piuttosto al contrario, “a calma di popolo”: non ci provate nemmeno! A fare che cosa, del resto.
Il cardinale Bassetti, leggo sull’Avvenire e sul Corriere di ieri, dice che Francesco “preferiva tenere le acque agitate” – non lo dice polemicamente, mi pare, ma per sottolineare un temperamento da nocchiero, dal quale il successore potrà scostarsi. Non so se Bassetti abbia ricordato le acque agitate del lago di Tiberiade, nelle quali Gesù mandò avanti in barca i discepoli, e poi li raggiunse camminando sulle acque, e ordinò a Pietro di fare altrettanto, ma Pietro, tra fede debole e vento forte, stava andando a fondo, e Gesù lo tirò su e, appena furono sulla barca, il vento cessò. Bisogna forse augurarsi, col successore, una bonaccia? La grande bonaccia delle Antille? Sta di fatto che tutta questa cristianità serenamente invadente sembra piuttosto volere una specie di esecutore testamentario di Francesco, uno che ne confermi la familiarità. Che è quello che le persone hanno sentito, anche quando la diceva grossa: gli esperti sottolineino pure l’autoritarismo, i modi da Papa-re, la “verticalità” di Francesco, sulla quale insiste Melloni. Partita persa, davanti a quelle sapienti suole di scarpe ortopediche col buco.
Il populismo, nella sua accezione ammodernata, è un pessimo arrangiamento del potere, tra viventi. Quando uno muore, la gente populista può farsi papista senza alienarsi, dirsi orfana e sentirsi protettrice. Quando uno muore, e i suoi fedeli – credenti o no – se ne appropriano senza mediazioni, c’è poco da fare, se non unirsi alla corrente. Dovette farlo la regina Elisabetta con la principessa Diana, e Dio sa se le costò. L’unica cosa esclusa dal regolamento canonico è la nomina di una donna: succede ancora solo nei romanzi e nei film. Anche il sacerdozio femminile resta significativamente dietro, nelle graduatorie delle innovazioni auspicate e mancate, al matrimonio dei preti. L’uomo è cacciatore. E bisogna fare i conti con la pace. Farli davvero. Francesco ha avuto, sulla pace e la guerra, una posizione decisamente simile a quella di Gino Strada, con la differenza, non secondaria, della faccia incazzata di Strada e quella cordiale del Papa. L’uno e l’altro hanno ignorato l’ideale – l’illusione? – che sembrò animare un periodo di apertura e di fiducia: quello di una “polizia internazionale”, del diritto-dovere di “ingerenza umanitaria”. Di una forza internazionale legittima che faccia finire le guerre, e non le faccia cominciare. Era stato un ideale condiviso da Woytjla, non a caso: aveva a che fare con l’esperienza vissuta dell’Urss e del socialismo reale, rivissuta nella reincarnazione post jugoslava. Un’utopia, forse, e anche una attuazione carica di errori e prepotenze. Ma abbandonata troppo facilmente e sbrigativamente, come continua a succedere – con la conversione ecologica, per esempio – in improvvisi contraccolpi di realismo e di cinismo. Non se ne è discusso, la si è meramente rimossa. I tribunali internazionali, che come ogni giustizia istituzionale intervengono per definizione a posteriori, sono rimasti per questo sradicati ed esposti all’inadempienza se non al ludibrio. L’“ospedale da campo” – “emergency”, appunto – è questo impegno e insieme questa rinuncia: impegno al soccorso, rinuncia a una forza legittima e deterrente in cambio della deprecazione della guerra e l’invocazione della pace. In Ucraina, fin dal 24 febbraio del 2022, non si è dedicata una sola parola a questa eventualità. Né, a compensarne l’assenza, a mobilitazioni civili, interposizioni, obiezioni collettive… Non conosco insegna più bella della bandiera bianca, quando sia impugnata da chi ha vinto, o abbia la forza per battersi. In cambio, la Chiesa, quella della prima parte della piazza, delle porpore, del paonazzo, del bianco e del nero, quella che può vantare la più spettacolosa esibizione di fogge e riti – invano emulata dalle parate giudiziarie, o militari – ha segnato anche lei i suoi punti. A cominciare dalla diplomazia. In un chiacchiericcio universale sul tavolo dei negoziati, ha messo a sedere Trump e Zelensky, al diavolo il tavolo, accostando d’improvviso due sedie o tre, come si farebbe in un’osteria fuori orario all’arrivo di due viaggiatori che abbiano qualcosa da dirsi.
Infine, c’è la tomba di Francesco in Santa Maria Maggiore, con la rosa bianca che ribadisce il suo legame con Santa Teresa di Lisieux. Nel 1925, quando Pio XI canonizzò la piccola santa, c’erano in piazza San Pietro 500 mila persone. Io non ho letto la “Storia di un’anima”, non ho letto quasi niente di quella giovane donna proclamata dottore della Chiesa. Accosto, come tutti, il suo nome a quello del Santo bevitore, e ora l’una e l’altro a Francesco. (Forse anche a Natalia Ginzburg, perché “le piccole virtù” erano state un’espressione di Teresa, e Natalia aveva scritto: “Forse / Dio è piccolo come un granello di polvere, / E potremo vederlo soltanto col microscopio…”).