Pannella spiega il digiuno per Sofri e chiede “una risposta dovuta”
Roma. E’ arrivato Marco Pannella, “tanto per cominciare”. Tanto per cominciare oggi è al secondo giorno di un altro digiuno. Ha smesso di mangiare per Adriano Sofri, questa volta. E fuma Gauloises e ride e dice che l’ha fregato, Sofri, perché a Sofri non è ancora riuscito di digiunare per Pannella (“e di certo gli dà un gran fastidio”). Perché Pannella va spesso da Sofri nel carcere di Pisa, e allora spesso s’accapigliano scherzosamente.
Pannella digiuna per Sofri, quindi, ma in un altro modo e non per chiedere la grazia – e infatti supplica che su questo non ci si sbagli. “Il mio è un digiuno radicale, che chiede allo Stato nient’altro oltre quello che gli compete. Allo Stato compete una risposta. Non voglio avvelenare l’atmosfera, voglio semplicemente aiutare il potere a decidere, a stabilire se la detenzione di Sofri sia costituzionalmente, giuridicamente, legalmente obbligata o necessaria, o anche solamente ammissibile, o non lo sia. O non lo sia più”. Pannella si rivolge al capo dello Stato, al ministro della Giustizia, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Camera e Senato. Chiede non una grazia ma una risposta, attesa e, dice, dovuta. “Perché c’è il diritto positivo, e poi c’è la politica”. Non vuole fare politica su Sofri ma “aiutare a prendere una decisione, a realizzare quello che sarebbero tenuti a fare e non fanno perché impotenti, e prepotenti”, “dare sostegno a chi – nel potere – ha il compito di vegliare all’attuazione del diritto positivo qual è oggi in Italia, dettato dalla legge fondamentale e dalle altre norme che regolano, e permettono la detenzione”.
“Entro novembre devono decidere, e entro novembre decideranno”. Questo dice Pannella. E questo significa che i sei giorni di sciopero della fame sono davvero “tanto per cominciare”, se si ricordano le altre battaglie non violente, se ci si ricorda la volta delle urine bevute in diretta tv. “Non vorrei costringerli a strappare la mia vittoria – dice al Foglio Pannella – sarei lietissimo di avere soltanto incardinato il dialogo, aiutato in una decisione difficile che però non può più aspettare”. “Se si ritiene che Sofri debba restare in prigione, lo si dica, lo si dichiari, lo si proclami”. E se ne spieghino i motivi, dice Pannella, e senza tirare in ballo le pacificazioni, che sono un’altra cosa.
“La grazia è un atto personale, nelle mani del capo dello Stato, non ha nulla a che vedere con l’amnistia o con nient’altro”. Nelle mani del capo dello Stato ma con parere motivato del ministro della Giustizia. E’ per questo che un movimento trasversale di deputati, capitanati da Marco Boato, ha presentato una proposta di legge affinché il potere della grazia sia affidato esclusivamente alla decisione e alla volontà del presidente della Repubblica. Pannella non ne è entusiasta. “Capisco le buone intenzioni, ma la ritengo inutile, perché rischia anzi di fornire alibi e di complicare ulteriormente le cose: sarebbe come ammettere che adesso Carlo Azeglio Ciampi, anche se volesse, non potrebbe concedere la grazia, e non è vero. Gli strumenti giuridici ci sono, e in ogni caso la procedura non può annullare la sostanza: se il presidente della Repubblica ritiene che ci siano le condizioni per la grazia a Sofri, allora accetta anche un’opinione consultiva negativa del ministro della Giustizia, e poi dà la grazia”.
Grazia che Sofri non ha mai chiesto e non chiederà mai. “Non solo non ha mai esercitato quella facoltà, ma non ha nemmeno mai approfittato di un minuto della legge Gozzini, con la durezza non violenta di chi è stato condannato come criminale, e allora come criminale non chiede di uscire”. Dice Pannella che in questo Sofri è molto “radicale”. “Ma il fatto di non aver chiesto la grazia non cambia affatto le cose, perché l’imput affinché si verifichino alcune iniziative è dato dalla notorietà del fatto, ed è un dato tecnico. E’ notorio che anche i nemici di Sofri vogliono Sofri fuori, è notorio che un vastissimo movimento d’opinione è favorevole alla grazia, e la famiglia del commissario Calabresi non si è opposta. Ecco allora la schizofrenia tra il popolo nel nome del quale si pronunciano le sentenze e il popolo che vuole fuori Sofri”.
Ogni giorno di detenzione è “di sequestro”
Dice Pannella che il problema della detenzione di Sofri viene posto alla coscienza civile, allo Stato, ai tutori della Costituzione e del buon funzionamento delle leggi. Dice che dovranno rispondere a una domanda: se Sofri in prigione serva all’immagine della legge, del carcere, della libertà, “uno che ovunque verrebbe ricoperto di lauree ad honorem”. Ma quel che conta è la risposta, che deve arrivare, “e arriverà, entro novembre: perché se vogliono tenerlo ancora in galera, devono dirlo”. Intanto, per il momento, “ogni giorno di detenzione è un giorno in più come di sequestro, di sprezzo della legalità”. E allora per il momento Marco Pannella ha scelto di digiunare per un po’ di giorni, “perché lo sciopero della fame serve, malgrado l’inflazione e malgrado la banalizzazione, serve se c’è la convinzione di agire per la legalità”. Quindi oggi al partito Radicale terrà la sua conferenza stampa, insieme a Daniele Capezzone, e spiegherà quel che sta facendo. Per Sofri ma prima ancora per il diritto positivo. “Questa è la partenza. Dopodiché, si va avanti”. Ed è sicuro che, anche questa volta, sarà lui a spuntarla.
Questa è stata la risposta di Adriano Sofri nella “Piccola posta” del Foglio lo stesso giorno:
Caro Marco Pannella, stavo già cercando il modo di dirlo ai troppi che da un paio d’anni digiunano per me, adesso dovrò trovare il modo di spiegarlo anche a te. Il fatto è che io stesso non padroneggio del tutto il punto. Il punto è quella vera mutazione per la quale uno che sentiva di essere venuto al mondo, per così dire, a digiunare per gli altri, diventa uno per il quale gli altri digiunano. Ti ho sentito ieri impiegare parole come “lietamente” e “amore”, dunque ne sono stato consolato. Mi raccomando.