Pannella chiede alla sinistra di togliere quel debito a ogni neonato
Caro Giuliano, caro direttore, so che lo spazio che eventualmente ci concedi e dedichi, a noi e a tutti gli altri lettori, è per quello che, nel nostro gergo di gandhiani laici, chiamiamo satyagraha e traduciamo con: amore delle verità, delle piccole verità eternamente e irrimediabilmente… quotidiane. Nella colonna di quarta pagina, dal titolo “idee radicali”, leggiamo gli elementi costitutivi di una storia particolare, la nostra di noi Radicali, come effettivamente per la prima e forse sin qui l’ultima volta è stata tratteggiata il 23 novembre del 1993 in apertura della pagina economica del Corriere della Sera a opera di Giorgio Meletti. Da allora, in effetti, Meletti ha scritto non già, come poteva sembrare, da cronista, ma di una storia che, grazie anche a lui storico – se non vado errato – d’Arte, di una storia altrimenti inedita, che oggi più manifestamente si prosegue e si disvela. A modo mio vorrei dare un primo, veloce e modesto, contributo sul tema. E la prenderò – come potrei con te fare altrimenti ?! – alla lontana.
Emma Bonino ha preso atto, con riserva di documentarsi, della proposta maturata stamane alle 6 e sottoposta al Consiglio dei ministri, credo alle 10. Anch’io ho necessità di farlo, con lei e gli altri compagni della Rosa nel pugno e Radicali, prima di decidere come farne tesoro, come accertarla e condividerla, o no. I radicali e i loro… consonanti di “destra”, alla Feltri, per esempio, hanno tutti finto di considerare l’iniziativa assunta avantieri da Emma Bonino come una “mossa”, una finta, magari come un ricattuccio di quelli soliti nelle due case, quella della libertà e quella che è il casino che convintamente continuiamo ad abitare noi. Insomma, la solita storia: credono di guardare altro, mentre quel che vedono non è altro che il loro abituale “cieco specchiarsi”. Come felicemente avete scritto, si tratta invece di un giorno come tanti altri degli oltre diecimila di trent’anni, come giustamente oggi avete indicato. Veniamo, dunque, al “dunque”: sul nostro territorio, oltre che alle immani tragedie della Tav sì o no, di Vicenza americana con la kappa o no, del gassificatore a Rovigo o no, di Romano Prodi proteso a stupirci, come dichiara da oltre un anno ormai, in questo nostro tanto bene amato territorio, ogni embrione che viene alla luce sotto la forma di bimbo, e ottiene finalmente anche agli occhi di noi miscredenti ictu oculi sembianze umane, nasce con un debito di oltre 52 milioni di moneta di vecchio conio, di lire. Questo è quanto accade diciamo da almeno vent’anni per tutti quanti noi.
Esattamente da venticinque anni, noi abbiamo segnalato questa peculiarità del nostro welfare, vecchio di circa ottant’anni se contiamo quello, a prezzo di libertà, realizzato dal regime fascista e quello del suo erede tuttora, dopo sessant’anni, oggi vigente contro il lavoro e i lavoratori, grazie o malgrado al dettato costituzionale della Repubblica fondata, pressoché unicamente, sul Lavoro. Per noi Radicali dal 1981-82 si è trattato di un problema effettivamente prioritario (quello del debito pubblico), a tal punto che proponemmo emendamenti ai bilanci dello stato per controllarlo e riassorbirlo, indicando un 7 per cento di riassorbimento annuale per evitare che l’inizio di un flagello da tutti – ripeto, da tutti – ignorato e/o negato si traducesse in un debito che cifravamo in oltre mezzo milione di miliardi di lire e che da due decenni supera o manca di poco la cifra di tre milioni di miliardi. Confortati non solamente dal Fondo monetario internazionale, dalla Bce, dall’Ecofin, dalla Comunità europea, dalla Corte dei conti e ora, finalmente, in modo solenne e tassativo dal governatore della Banca d’Italia (e non solo: perfino, tra gli altri, da D’Alema: “Il tesoretto, i soldi non ci sono e, se ci fossero, non sarebbero disponibili…”).
Con Emma, dunque, abbiamo per un giorno ringhiato e alla fine azzannato il Problema. E non solo non lo molleremo, come non lo abbiamo mollato ormai per decenni, ma ricorderemo che abbiamo avuto perfino la forza – “storica”, direi – di provocare lo scorso anno un’alternanza che senza di noi sarebbe stata mancata almeno per mezzo milione di voti, al fine di verificare se l’altra componente del regime detto bipolare, in realtà di ormai disperato monopartitismo imperfetto, potesse divenire seme reale dell’Alternativa che urge. Macché! Poiché la riforma previdenziale è, per astratto riconoscimento di tutti, essenziale per risanare la patologica realtà economico-finanziario-sociale del nostro Paese, abbiamo chiesto che finalmente la pienezza del costituzionalissimo diritto al lavoro venisse promossa, facilitata, sostenuta, strappata anche per quelle e quelli che abitano sul territorio, anche per quanti hanno dinanzi decenni di forza, di salute, di volontà di vivere che lo sviluppo demografico-antropologico genera, esige e consente.
Elevare i limiti d’età
Devo concludere. Abbiamo una riunione radicale, Emma inclusa, e concludo in questo modo: i due terzi degli elettori del Partito (nonviolento, radicale, di Sinistra europea…) di Rifondazione comunista sono d’accordo con noi e non con la Sinistra (Comunista e dintorni sindacali) radicale. Ritengono infatti che sia giusto elevare i limiti d’età per il pensionamento. Il che, di per sé, vorrebbe dire perfino “poco”, se non accadesse ormai, regolarmente, da oltre dieci anni. Due terzi di questi elettori, come certamente ben ricorda Fausto Bertinotti, nel 1991-93 erano d’accordo con la nostra proposta di riforma anglosassone, americana, dell’assetto costituzionale italiano. I tre quarti di questi stessi elettori hanno votato “sì” al nostro referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti: nel gergo di oggi, diciamo contro “la casta”, contro il Costo della non democrazia, contro il costo della corruzione del sistema partitocratico del monopartitismo imperfetto costituito perfino dalla Lega e da loro. E con le stesse percentuali tutta l’area della sinistra, un tempo tutta l’area comunista, socialista, democristiana, per non dire anche quella fascista, riuscì alla fine a imporre ai propri apparati di accettare o tollerare le grandi riforme sociali oggi dette “etiche”.
Ho terminato. Al congresso costitutivo della Rosa nel pugno dissi che la sua affermazione era strutturalmente legata anche al superamento di “Livorno e di Tours”, dell’eresia o dello scisma comunista, non meno che delle Specificità socialiste, liberali, radicali, laiche, e – oggi aggiungo – liberalsocialiste, socialiste liberali e via litaniando. Ne resto convinto. La Rosa nel pugno resta, più che mai, concretamente, grazie a quelle che un tempo si chiamavano le “Idee forza”, l’appuntamento dello specifico politico e storico italiano, europeo e globale. Per me, come a lungo le “doppie tessere” socialiste, ora, dopo anni di doppie tessere anche comuniste a Nessuno Tocchi Caino, all’Associazione Luca Coscioni, spiritualmente alla Rosa nel pugno, al Partito radicale transnazionale e a Radicali italiani, queste “nuove” e antiche doppie tessere, come quelle di Cesare Salvi, di Pasqualina Napoletano, restano le più vive, le più care, le più impegnative. Mi auguro che questo accada anche per il compagno Ferrero. Possiamo farlo se non siamo sordi all’aiuto profondo, tanto profondo da rischiare perfino l’esasperazione, se non la disperazione, non solamente di tutti coloro che ho evocato sopra, ma di quei due terzi di dipendenti che, mentre il 1° maggio del 2003 l’esponente di Rifondazione Paolo Ferrero e il radicale Michele De Lucia discutevano del nostro tradimento di un diritto umano acquisito, in più di due terzi sceglievano, loro come i democratici della sinistra socialista liberale pressoché del mondo intero, la nostra posizione sull’articolo 18: risarcimenti sempre più adeguati e niente “reintegri”, specialità italiana come l’obbligatorietà dell’azione penale. Alternativa, alternativa, alternativa, cioè passare subito a divenire dei Quasi buoni a niente al pari degli altri: quelli capaci davvero, ma davvero, di tutto.
Grazie, carissimo Giuliano, carissimo direttore. Spero a molto presto. Anzi, nella mia formula che conosci bene: a subito!
di Marco Pannella