Il romanzo di Bobo Maroni /9
La nuova vita da ministro, provando a salvare il Welfare e Marco Biagi
C’è in questi giorni un Roberto Maroni furioso con il Cav. del codicillo antirisarcimento: “E’ una vicenda che ci imbarazza”. E se la Padania titola “Giallo Mondadori”, il ministro dell’Interno si sfoga con i collaboratori con frasi del tipo “questa è l’ultima che ci fa” (il Cav.)
C’è in questi giorni un Roberto Maroni furioso con il Cav. del codicillo antirisarcimento: “E’ una vicenda che ci imbarazza”, dice al Corriere della Sera (con un occhio alla base leghista). E se la Padania titola “Giallo Mondadori”, il ministro dell’Interno si sfoga con i collaboratori con frasi del tipo “questa è l’ultima che ci fa” (il Cav.). Lui, Maroni, l’uomo che nel 1994 voleva salvare il Cav. dal ribaltone. E però è chiaro che stavolta Bobo non ha spulciato la manovra come quando era capogruppo della Lega alla Camera, in giorni di opposizione tra il 2006 e il 2008, e nel weekend mostrava agli amici in barca i post-it inseriti nella sua copia della legge. “Così mi ricordo gli emendamenti da portare in aula. Li ho divisi per parlamentare: due a cranio”, diceva Bobo tra uno spritz e una virata. Erano giorni garibaldini, quelli, dopo i cinque anni governativi da ministro del Welfare. Il Welfare, ovvero la terza vita di Bobo dopo il movimentismo e il frondismo antiribaltone: l’inizio della partita a scacchi nella stanza dei bottoni.
“Ragazzi, qui dobbiamo studiare”, dice Maroni appena insediato al Welfare (Bossi vorrebbe per lui la Giustizia, come la voleva nel ’94, ma sono di nuovo picche). Ridisegnare le politiche del lavoro all’insegna della flessibilità, questo è l’obiettivo. Maroni pensa a un Libro Bianco, si mette all’opera con il vice Maurizio Sacconi e una serie di plenipotenziari donna (“le donne sono più brave”, dirà). Si avvale della collaborazione di un giuslavorista di formazione socialista, già apprezzato dai ministri di centrosinistra. E’ Marco Biagi, il professore che nell’estate del 2001 gli manda quella lettera: “Desidero informarla che oggi ho ricevuto un’altra telefonata minatoria da un anonimo…”. Biagi, infatti, già identificato come “obiettivo” delle Br, non ha più tutta la protezione che aveva. E nel giro di qualche settimana, complice l’emergenza post 11 settembre, non avrà più alcuna protezione. Maroni chiede al prefetto di Roma “le necessarie valutazioni”. Sollecita Claudio Scajola, al Viminale. Con il senno di poi, Scajola si pentirà di aver detto una frase poco carina su Biagi che insisteva sulle telefonate anonime. Con il senno di poi, tutti avrebbero fatto qualcosa di diverso. Perché la sera del 19 marzo del 2002 Biagi riceve nel buio quattro spari mortali firmati Br. Sotto casa sua, a Bologna. Maroni sta registrando “Porta a Porta”. Ci va spesso, e quella sera gli tocca la cronaca della morte annunciata di un uomo che pochi giorni prima gli ha detto: “Non vorrei che foste costretti a intitolarmi una sala come a Massimo D’Antona”, il giuslavorista ammazzato dalle Br nel 1999. In privato Maroni piange, in pubblico dirà “avevo chiesto il ripristino della scorta”. Il Libro Bianco prosegue il cammino nella tragedia mentre Maroni perde la battaglia dell’articolo 18.
E però, a forza di concertare, Bobo diventa il leghista più apprezzato dall’opposizione. Quello che discute amabilmente con Fausto Bertinotti e forse gli invidia i bei cachemire in tempi in cui, sul viso di Bobo, non sono ancora comparsi gli occhiali rossi che spazzeranno via l’aria valligiana. Si parla di welfare e Maroni dice: “Non si tratta di chiedere spiccioli a Tremonti, ma di fare interventi strutturali” (e lo dice pure oggi). Apre una sede del ministero a Milano, Bobo, negli uffici Inail, manco fosse il Bossi del 2011. Eppure l’aria di Roma comincia a sedurlo. C’è l’ebbrezza lieve dei salotti e la terrazza dell’hotel Bernini con il piano bar. Dalla Padania mugugnano: questo diventa romano, questo parla con la sinistra. Poi Bossi crolla a terra, colpito da un ictus. E’ il marzo del 2004 e il mondo maroniano sprofonda come dopo il ribaltone. Non negli inferi, stavolta, ma nel silenzio.