I due marò (foto LaPresse)

Cosa serve a Renzi, concretamente, per risolvere davvero il pasticcio dei Maró

Gianni Castellaneta
L'attivismo del presidente del Consiglio ha dato la stura a interpretazioni di ogni genere sulle reali finalità della sua azione internazionale, ma, forse inavvertitamente, ha anche riacceso le speranze di giungere a una composizione della vicenda dei fucilieri della Marina.

Entrando con sempre maggiore decisione in partite internazionali di grande importanza e complessità - la crisi ucraina e le sanzioni a Mosca, l'Egitto e la Liba - Matteo Renzi ha dato prova di grande dinamismo. Ha inoltre chiaramente compreso che la politica estera è un ulteriore tassello nella sua strategia di consolidamento domestico, in grado di suscitare approvazione da parte della comunità imprenditoriale italiana e del grande pubblico a cui Renzi dà l'idea di poter poter togliere l'Italia dal ruolo marginale degli ultimi anni. L'attivismo di Renzi ha dato la stura a interpretazioni di ogni genere sulle reali finalità della sua azione internazionale, amplificate dal ciclo mediatico senza soluzione di continuità che scandisce lo scorrere del tempo. Forse inavvertitamente, Renzi ha anche riacceso le speranze di giungere a una composizione della vicenda dei marò.

 

Come il proverbiale dentifricio impossibile da rimettere nel tubetto, questo dossier è il lascito sgradito di passati governi, e una vicenda nel quale si sovrappongono errori e mancanze. Come l'assenza di regole chiare che disciplinano i rapporti sulle navi tra i marò (militari) ed equipaggio ed armatore (civili). Parimenti, spiccano per la loro assenza le apposite clausole di trattato in grado di sottrarre i militari alle giurisdizioni dei Paesi dove si verifica l'incidente - clausole che gli Stati Uniti avevano per esempio con l'Iraq e che hanno sottratto alla giustizia irachena i militari americani che uccisero il nostro Calipari. Questi "buchi" testimoniano l'improvvisazione di chi, pur avendo alle spalle una storia di commercio e potenza, è impreparato quando si tratta di accompagnare la proiezione commerciale tricolore in un mondo che non manca di insidie. A ciò si aggiunge una sostanziale sottovalutazione della realtà indiana e della determinazione della sua classe politica. Per tacere del riflesso tipicamente italiano di credere che possa essere qualcun altro a toglierci le castagne dal fuoco. Putin, Obama, gli ayatollah, papa Francesco o addirittura l'Inghilterra, ex potenza coloniale che suscita sensazioni forti da quelle parti:  il salvatore è sempre un altro, quasi che Roma fosse interdetta, incapace di disputare la propria partita fino in fondo e bisognosa di un tutore. C'è poi chi sogna accordi sottotraccia e ipotizza accordi economici, o magari un epilogo alla James Bond, con elicotteri che scivolano silenziosi nella notte, estraggono il marò e il personale dell'ambasciata e ripartono mentre soldati indiani compiacenti sparacchiano colpi senza mai nemmeno lambire i nostri dannunziani incursori.

 

Renzi, che del primato della politica ha fatto la propria bandiera, non è tipo da farsi incantare da queste storie. Sa che l'unica via, stretta finché si vuole, è quella della politica. E, da bravo fiorentino, ha dimostrato di essere machiavellico, un po' "volpe"un po' "lione", a seconda della convenienza. Stando accorto, perché la cosa peggiore in queste cose è di formulare profezie di salvezza ma non governarne gli esiti.

 

 

Gianni Castellaneta è ex ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti

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