Perché Lupi è finito sulla gogna mediatica senza essere indagato
La parola chiave è “discovery”. Suona bene alle orecchie del profano di procedura penale perché almeno è una parola inglese, dunque moderna per definizione, e lontana dai tempi immutabili degli azzeccagarbugli e del loro latinorum. E’ addirittura musica soave per il giurista che ne coglie il suono anglosassone, evocatore per lui di un processo finalmente ad armi pari, promessa mai mantenuta a sud delle Alpi. Eppure, da quando la discovery è divenuta parola corrente nel processo penale, ha portato in auge come mai prima espressioni quali “gogna mediatica” e “macchina del fango”. Eterogenesi dei fini o riprova che le peggiori persecuzioni, con l’unica eccezione forse del nazismo, nascono e si affermano in nome del “bene comune”. Con la discovery si sono trovate messe alla gogna, metaforica ma non meno umiliante, signorine dai costumi leggeri divenuti non più privati, mariti non irreprensibili ma nemmeno fuorilegge, uomini e donne appartenenti ai ceti sociali più diversi dai muratori ai ministri, dalle puttane alle principesse. Chi scrive, pur se per indole e ideali è più portato alla difesa di puttane e muratori, deve ammettere che il fenomeno è interclassista e l’ultima vittima della discovery è il ministro Lupi, per il quale qui non si prova nessuna simpatia e più ancora delle dimissioni si sarebbe preferito non vederlo riconfermato. Ma è singolare che ora lo si voglia fuori dal governo senza nemmeno il rituale avviso di garanzia. Come è potuto succedere? La discovery, appunto. Fino agli anni 80 c’era il mandato di cattura che veniva “spiccato” dal pm. Uno veniva sbattuto in galera e poi, con calma e in segreto, si vedeva. Oggi il pm deve prima far valutare al gip l’emissione di un ordine di custodia cautelare. Altro linguaggio e altra prassi. Se il gip è d’accordo si procede, se invece ritiene quella del pm una pessima idea non lo sapremo mai. Quando il provvedimento viene emesso, e non “spiccato”, avviene la discovery. Ovvero, lealmente, l’accusa scopre le sue carte. Così la difesa potrà regolarsi meglio. E che si vuole di più? L’indagato è messo nelle condizioni di difendersi fin dal momento in cui si chiude la porta del carcere. Josef K. fu trattato assai peggio. Nella discovery ci sono le accuse per tutti gli indagati, l’ordine di custodia è unico, cambia solo l’indirizzo.
Meglio, così la difesa ha un quadro completo. E ci sono le intercettazioni, che non possono mancare se non a scapito dell’accuratezza dell’indagine. Funzionano così: devono fondarsi su indizi di reato o almeno essere indispensabili alla prosecuzione delle indagini. In parole povere si può intercettare anche chi non è indagato e a maggior ragione se parla con chi invece lo è. Il pm, naturalmente, non sta ad ascoltare in cuffia. Ci pensa l’addetto della polizia che stende un brogliaccio e ogni cinque giorni dovrebbe farlo valutare al magistrato per scegliere le telefonate rilevanti ma i pm non ce la fanno a tenere il passo delle intercettazioni da loro stessi richieste e in genere solo grazie a una proroga di indagine riescono a fare una scrematura. E allora come è possibile che si ritrovino nelle ordinanze telefonate prive di rilievo penale ? Servono a definire il “contesto” è la risposta. Ma possono finire sui giornali? No. Ma la sanzione è una multa, ammortizzata da un po’ di copie in più. Dunque ci finiscono. La “gogna mediatica” è una specie di sanzione anticipata. Il pm non ha trovato indizi sufficienti per indagare qualcuno ma almeno lo indica al pubblico ludibrio. Un po’ come la carcerazione preventiva. So che sei colpevole perché, come Pasolini, “io so”, ma so anche che non ho prove e dunque ti tengo dentro fin che posso, sperando che tu me le fornisca. Con la pubblicazione delle intercettazioni il pm sfiora l’autolesionismo. Faccio sapere a tutti, dunque anche a te, che ti sto puntando. La politicamente tempestiva pubblica gogna può far evitare la pena forse in futuro dovuta. Estremo paradosso della discovery.