Effetto Renzi
Insalata Misto. Il rifugio dei viceré ora è la quarta forza parlamentare
Da sempre asilo d’indecidibili silenzi e tomba di fragorose carriere politiche, il Gruppo misto è spesso l’ultima fermata, la soluzione finale dei reietti e dei rivoltosi, degli scontenti e dei delusi. Ed è per ciò ancora più sorprendente che questa specie di limbo del Parlamento, questa sacca anonima del Palazzo, abbia oggi più deputati dell’Ncd e dell’Udc messi insieme, che sia il quarto gruppo parlamentare più numeroso della Camera e del Senato, l’unico gruppo, tra baruffe democratiche, ammutinamenti berlusconiani, scioglimenti civici e botti grillini, in cui deputati e senatori, con scatto deciso e cupa determinazione, fanno la fila per entrare: “Scusi, dov’è che ci si iscrive?”. Camera di compensazione che precede talvolta un voltafaccia, un cambio di casacca, il passaggio dalla destra alla sinistra, o viceversa, il Gruppo misto è più spesso un esilio volontario, una legione straniera dove si deposita infelice, a espiare, la schiuma del Parlamento, un non luogo della politica. E infatti ci finirono Lamberto Dini e Giulio Andreotti, Antonio Di Pietro e Fausto Bertinotti, ciascuno sospinto da una sua malinconia, da un dispiacere politico o senile, tutti mossi da compostezza rassegnata, da un desiderio d’immobilità dopo anni di lotta e di ribalta. E d’altra parte gli aggettivi tendono a recuperare i barlumi della sostanza che sta dietro alle cose, e “miste” sono infatti l’insalata e la frittura, “misti” sono l’impasto della pizza e anche il beverone energetico di Fantozzi, e “misto” è infine tutto ciò che è impuro e promiscuo, come certi matrimoni, o tutto ciò che è indifferenziato, come la monnezza, che è uno scarto ma è anche riciclabile.
Oggi nei gruppi misti ci sono Mario Monti e Manuela Repetti (con Sandro Bondi), Claudio Fava e il grillino Luis Alberto Orellana, i leghisti amici di Flavio Tosi, tutti insieme, in una sofistica di rapporti caratterizzati dal silenzio sempre un po’ inquietante delle convivenze forzate, ma tutti animati da bizzarra vitalità: trentadue senatori e trentotto deputati, con Raffaele Fitto che ogni tanto minaccia il Cavaliere, “guarda che andiamo tutti nel Gruppo misto”, mentre Denis Verdini rassicura il vecchio capo: “Per sostenere Renzi, se vuoi, mi porto un po’ di gente nel Gruppo misto”. Ma cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, e così il Gruppo misto scintilla agli occhi di Fitto e di Verdini, il ribelle e l’amico, come una possibile promessa di felicità. E infatti ogni tanto anche a sinistra, Pippo Civati, quando si arrabbia con Renzi, la butta lì: “C’è sempre il Gruppo misto”, gli fa sapere. Mentre Gianni Cuperlo promette che “resteremo nel Pd… non siamo ancora gente da Gruppo misto”.
[**Video_box_2**]Area problematica, dunque, questa mista, sempre contrassegnata da distacchi più o meno traumatici, abbandoni laceranti e non di rado anche da desideri di vendetta. Ed ecco allora in che modo si viene componendo il mosaico della decomposizione parlamentare sotto i nostri occhi: una geografia spuria, mista appunto, eppure tremendamente essenziale nella legislatura che Matteo Renzi sta disarticolando (lui direbbe asfaltando) con allegra protervia: gruppo parlamentare per gruppo parlamentare, partito per partito: Forza Italia e M5s, Scelta civica e Sel, e nemmeno Angelino Alfano adesso si sente tanto bene. Pochi segni sono più chiari del Gruppo misto che si gonfia, poche altre prove dimostrano quel che ha cominciato a ribollire. La nube mista resterà lì, spostandosi densa da un decreto all’altro, da una riforma all’altra, disegnando sempre nuove e strambe maggioranze. E questo anomalo mescolarsi, questo misto pazzo, allude alla fine di una fase e forse all’inizio di un’altra.