Keep calm and Nazareno 2.0
Non è il migliore dei momenti possibili, per Silvio Berlusconi e la sua macilenta Forza Italia, ma a ben guardare non c’è nemmeno ragione di convocare le prefiche per il pianto rituale sulle spoglie del partito, meno che mai del suo leader. Vediamo perché.
I sondaggi (cito da YouTrend.it per “Omnibus”), per quel che valgono, certificano un quadro in cui la Lega delle destre ha grosso modo raggiunto il tetto di consensi, anzi il partito di Matteo Salvini è in lieve flessione (13,5 per cento, un punto percentuale in meno) a beneficio del suo competitore naturale, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (4,0 per cento). Anche il Pd di Matteo Renzi, malgrado i marosi giudiziari, dà l’impressione d’essersi assestato intorno a un massimale limite (perde uno 0,4 e si ferma al 37,8 per cento). Forza Italia immiserisce al 12,8 per cento, ma è la formazione più penalizzata dal contesto: ha un capo ancora sotto lo stivale manettaro che sconta gli effetti della iniqua e nota legge Severino e deve sedare i focolai interni di rivolta e di fuga alla spicciolata. Sono guai brutti, ma in fondo passeggeri. E ci sono due dettagli non trascurabili.
Il primo è che, una volta scavallata la prevedibile rotta nelle regionali di fine maggio, le elezioni che contano non giungeranno prima del 2018 (a meno che non convenga a Matteo Renzi, ma questa è un’altra storia). Il secondo è che, chiuso nella cassaforte dei sogni elettorali, c’è ancora un 30 per cento abbondante di astenuti, vale a dire una riserva aurea di potenziali berlusconiani mobilitabili sulla base di una candidatura forte, se non il Cav. in prima persona un suo legittimo discendente (im)politico, e di un programma strategico rischiarato da idee e linee guida ben riconoscibili. Quel che accadrà in Parlamento nel frattempo, in termini di transumanze, piccole vendette e più piccoli tradimenti, rileva fino a un certo punto. Più interessante, e strategico, sarà invece l’atteggiamento del numero primo di Forza Italia, Berlusconi appunto. Di fronte a lui, teste decisivo la sentenza della Corte di Strasburgo, sta per riaprirsi il viale alberato dell’agibilità politica personale. Come intende percorrerlo?
[**Video_box_2**]La secessione dal Nazareno ha procurato al socio di Palazzo Chigi qualche guaio nella contabilità parlamentare, ma ha lasciato Berlusconi in una condizione amletica: perché non dovrebbe votare adesso, nell’ultimo passaggio in Aula, le due riforme (Italicum e Senato) che ha già sostenuto prima della rottura con Renzi? E sopra tutto, quanto gli costerebbe farlo? A senso direi poco, se non nulla. L’Aventino non è stato premiante (FI ha appena perso altri 4 decimali) e sopra tutto il Cav. sembra stia strapagando, in termini di consensi e con una progressiva marginalizzazione nel discorso pubblico, la penale dell’indecisione paludosa, e silenziosa, cui si è consegnato nelle ultime settimane. Dal Jobs Act alla riforma della giustizia, il governo Renzi ha più di un’impronta berlusconiana da farsi perdonare agli occhi della sinistra piddina ed extra parlamentare (Cgil, Fiom, partito delle procure): tanto varrebbe rivendicare queste tracce e aggredire semmai il premier, in nome dell’antica promessa liberale (spirito del ’94, se ci sei, batti un colpo), sulla smisurata pressione fiscale e sul rischio concretissimo che dall’estate prossima ci si avviti in un innalzamento dell’Iva dagli effetti rozzamente recessivi. Contribuire a scongiurarlo, con proposte e iniziative parallele che tocchino anche il dossier rovente come la revisione della spesa pubblica, non sarebbe malaccio, giusto per fare un esempio non proprio banale.
Insomma il lavoro per Berlusconi non manca, nell’attesa che la nottata passi. L’essenziale è restare più calmi che tristi, e scrivere un palinsesto per cui battersi in forma autonoma. L’intendenza, leghista o neodestrista che sia, seguirebbe.