Nuove conquiste del Giglio magico
Roma. Dicono che abbia bisogno dei fedelissimi, in ogni fessura del Palazzo, perché vive ogni spicciolo atto del suo stare in politica e nel governo come un improbo corpo a corpo, un cimento e un combattimento mortale. E lo teorizza, persino. “La politica deve essere conquista, deve essere senza rete”, ha detto una volta, prima di strappare la segreteria del Pd e la presidenza del Consiglio, e non come si prende il dono di una madre, ma come si scippa un tozzo di pane a un’estranea. Dunque Matteo Renzi ha imposto un poderoso ritocco estetico nel Pd, tra i dirigenti e le figure di maggior spicco, ma lo stesso ha fatto anche nella folla dei burocrati di stato, lì dove non batte il sole ma si scrivono le leggi, tra quelle deità inattaccabili e serene che vivono nell’ombra ma senza le quali non si governa perché loro soltanto sanno dominare il fuoco della tecnica, quei meccanismi esoterici eppure così indispensabili all’amministrazione pubblica: “Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese”, aveva spiegato Lenin ai commissari del popolo e ai dirigenti del suo partito all’incirca un secolo fa.
E così nel Cremlino di Renzi si parla una lingua disinvolta, costellata di toscanismi popolari, e non c’è burocrate che non venga da Firenze o che non sia stato potentemente risciacquato in Arno, cooptato, che non abbia dato insomma prova di competenza, sì, certo, ma anche di sperimentata fiducia. E infatti adesso che c’è da sostituire Ercole Incalza, l’inquisito grand commis di tutte le opere pubbliche d’Italia, al ministero delle Infrastrutture, è sul toscano Erasmo D’Angelis, capo dell’unità di crisi di Palazzo Chigi, che si è posato lo sguardo di Renzi. Già presidente di Publiacque, azienda del cui cda faceva parte anche Maria Elena Boschi, D’Angelis, ex radicale, ex Legambiente, ex sottosegretario renziano nel governo di Enrico Letta, fa parte della banda del boy scout fiorentino da almeno dieci anni e a questo gruppo di giovani amici e corregionali, elevatosi sino al governo del paese, ha ormai consacrato la sua abilità tecnica, la sua esperienza e anche il suo vecchio istinto gruppettaro. Il burocrate può sbrogliare matasse e gomitoli, svelare codici e illuminare misteri, ma può anche ingaggiare battaglie tanto più insidiose con i suoi committenti politici perché giocate da padrone della tecnica, cioè sul filo delle interpretazioni iniziatiche, delle segnalazioni ermetiche, delle indagini conoscitive. Dunque meglio che sia un amico, un consanguineo, uno della tribù, uno che non faccia sorprese, che non dia zampate di velluto sulla testa di chi siede a Palazzo Chigi.
[**Video_box_2**]E proprio lì, nel Palazzo del governo, lasciato libero da Graziano Delrio e dai suoi collaboratori, sta infatti per arrivare, nella stanza accanto a quella di Raffaele Tiscar (“a lui diedi il mio primo voto per la Camera”, ha raccontato a questo giornale Marco Carrai), nel ruolo delicato e prestigioso di segretario generale, Paolo Aquilanti. Questo funzionario di grandissima esperienza non è toscano, anzi è nato a Roma nel 1960, ma è il più prezioso, coccolato, stimato collaboratore del ministro Boschi che lo scoprì quando, da deputata alle prime armi, si ritrovò in quella selva di codici e insidie regolamentari che è la commissione Affari costituzionali. Aquilanti, élite dei funzionari del Senato, le mostrò la luce dove altri vedevano la nebbia, e lei, divenuta ministro delle Riforme, se lo portò a fare il capo dipartimento, laddove lui ha poi modellato la riforma elettorale ed escogitato ogni espediente tecnico per aggirare l’ostruzionismo parlamentare. E insomma toscani di nascita o d’adozione, il giglio di Renzi resta magico e soprattutto resta chiuso, ché il mondo della burocrazia romana non cessa d’alitargli attorno un’aura di sottile e avversa alienità.