Populismo giudiziario e penale. Il veleno che la sinistra inietta nel paese
Forse a Gianni Cuperlo, uomo di buone letture e minoranze dem, piace ancora. Forse anche a Matteo Orfini, pure buone letture. Forse ai renziani no, troppo comunista, fino alla fine, era rimasto. Però qualche volta, i renziani soprattutto, Orfini soprattutto, Manuel Vázquez Montalbán dovrebbero rileggerlo. Ad esempio l’inizio di “Assassinio al Comitato centrale”. C’è una riunione a porte chiuse, all’improvviso va via la luce e sparano al segretario generale. L’attimo di buio è il momento politico perfetto per far fuori un avversario. (Avversario di chi, poi?). C’è un metodo narrativo, o un modo di lavorare del subconscio, che nella sinistra continua ad agire sottotraccia, mentre la renziana guarigione delle coscienze sembra restare in superficie. Un attimo di buio, l’occasione colta al volo, e Matteo Orfini ha fatto partire un siluro, siluro politico, contro Gianni De Gennaro. La luce è tornata subito. Ma il comitato centrale è rimasto in silenzio. Il loquace garantismo di Matteo Renzi non s’è udito fino a tardo pomeriggio (quando il premier ha difeso infine De Gennaro), il garantismo a fasi alterne del suo Pd non ha emesso grandi tweet. Pensare male è un peccato di prudenza. Ma non sentire nel silenzio l’eco del metodo Lupi, è difficile. Il giustizialismo può essere criticato in parole, un po’ meno in atti, a giudicare da quanto il governo ha fatto finora, ma c’è uno stile narrativo che continua ad agire. Basta raccontare che il mantenimento di una certa posizione non è più opportuna, perché così la pensa il popolo, perché c’è un racconto dei fatti sedimentato e diffuso, che scorre come il flusso di coscienza della nazione (del partito della nazione?). E allora perché non assecondarlo, il racconto del populismo giudiziario? Perché non approfittarne, quando serve? E’ un calarsi alla corrente cui Renzi dovrebbe stare bene attento, poiché va in senso contrario alle sue enunciazioni di principio e di logica sul tema della giustizia.
Anche Raffaele Cantone dev’essere un uomo di buone letture. Così il presidente dell’Autorità anticorruzione ha detto: “Gianni De Gennaro è stato indagato e assolto. L’assoluzione conta pure qualcosa”. E’ il volto umano di un commissariamento giudiziario in cui il renzismo sta avvolgendo (morbidamente, eh!) il paese. Così ieri, ad esempio, ha anche detto, sull’Expo: “Sono convintissimo che in alcuni casi la corruzione si annidi anche nella perfezione, di certo i nostri controlli l’hanno resa più difficile”. Rassicura l’opinione pubblica, mette il timbro dei pm mentre tiene a bada l’attivismo dei pm. A lui regaleremmo la “Lettera al mio giudice” di Simenon: “Signor giudice, vorrei tanto che un uomo, un uomo solo, mi capisse. E desidererei che quell’uomo fosse lei”. Guarigione delle coscienze. Ma la corrente è sempre quella, la narrazione del giustizialimo sottotraccia è sempre quella. E i racconti sedimentano in miti. E i miti hanno la pretesa di farsi leggi. Così che al populismo giudiziario segue il populismo penale. Corruzione? Eccovi le pene più alte che la storia ricordi, dopo il Taglione. L’omicidio stradale? Nessuna miglior cura della galera. Lì, almeno, non si guida. Il reato di tortura? Per carità, quello è sacrosanto. Ma sarà la pena il deterrente per il poliziotto manesco, o per uno stato che non sa amministrare la sua giustizia e allora la racconta, se la racconta?