Dura lex, nulla lex
Tra pochi giorni, la Corte costituzionale potrebbe disfarsi di un altro dei pilastri della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Si tratta del divieto di ricorrere alla provetta per le coppie normalmente fertili che però siano portatrici di malattie genetiche, e che chiedono di poter usare la diagnosi preimpianto degli embrioni per selezionare quelli indenni dalle patologie temute. Stavolta, l’Avvocatura dello stato ha scelto di non costituirsi in giudizio per difendere la legge, dal referendum del 2005 in poi bersaglio di vari attacchi da parte dei tribunali e portata per undici volte di fronte alla Consulta. Che solo in due casi ha stabilito modifiche sostanziali: l’ultimo, un anno fa, quando ha decretato la caduta del divieto di fecondazione eterologa, ora ammessa quando non sia possibile, per una coppia, procreare in altro modo. Quanto al giudizio sulla diagnosi preimpianto, è stato annunciato uno slittamento della sentenza, attesa inizialmente per questa settimana, a una delle prossime camere di consiglio.
E’ stata, la legge 40, l’eccezione che – dopo decenni di discussioni e di false partenze – aveva confermato la regola. Quella che in Italia fa delle questioni “eticamente sensibili” (che dal campo strettamente bioetico, come il tema del testamento biologico, spaziano fino ai “nuovi diritti”, come l’unione civile per coppie omosessuali) materia di cantieri parlamentari infiniti, che quasi sempre si trasformano in pantani. Il fenomeno non è così incomprensibile e non è nemmeno esclusivamente italiano. La cosiddetta “biopolitica” pone questioni divisive per loro natura, per le quali è difficile fare appello alla semplice fedeltà di schieramento e sulle quali, semmai, gli schieramenti si infrangono. Su di esse in parte ancora influisce – più che un controllo della chiesa, che peraltro non riuscì a impedire né l’introduzione del divorzio né l’abrogazione della legge sull’aborto – quella che è stata chiamata “eccezione italiana”. A seconda dei punti di vista, malattia da curare a forza di modernizzazioni incentivate da euro e onuburocrazie; oppure forma di resistenza culturale diffusa a un’antropologia che arriva a negare, in nome dei diritti individuali illimitati, perfino la differenza sessuale. Ecco perché, in Italia e un po’ ovunque, la procedura per cambiare le carte in tavola parte quasi sempre dai tribunali (è stato così anche negli Stati Uniti per i matrimoni gay), mentre alla politica tocca poi trovare le formule di adeguamento. Anche da questo punto di vista la legge 40 è stata un’eccezione, vista la maggioranza parlamentare vasta e trasversale che l’ha approvata nel 2004. Un’altra eccezione, recente, è la nuova normativa sul divorzio breve. Arrivata proprio in questi giorni alla terza lettura in Aula, alla Camera, se non dovessero esserci ulteriori modifiche diventerà legge con numeri plebiscitari e trasversalissimi: appena trenta contrari alla Camera e undici al Senato. Per ottenere il divorzio basteranno un anno di separazione o sei mesi se è consensuale, e su questo nemmeno l’esangue componente cattolica della politica ha ritenuto di dover alzare barricate.
Quanto al resto, i cantieri parlamentari “eticamente sensibili”, aperti o semiaperti che siano, sembrano destinati a non chiudersi facilmente. Tra le pendenze, ricordiamo la legge sull’omofobia e quella sulle unioni civili a partire dal progetto del Pd presentato da Monica Cirinnà; per quanto riguarda il capitolo “fine vita”, c’è una proposta di legge di iniziativa popolare del 2013 ma anche la riproposizione – da parte della parlamentare Eugenia Roccella (Ncd) – della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, già presentata dal Pdl nella XVI legislatura, arrivata all’approvazione alla Camera e poi spiaggiata al Senato. Ci sono anche varie proposte di legge per regolare l’eterologa, sia per adeguarsi alle nuove direttive in materia, sia perché su capitoli come l’anonimato assoluto o meno dei donatori di gameti – materia che riguarda l’identità personale – non è possibile provvedere con circolari regionali, come pure qualcuno aveva sostenuto. Sul tema, ci sono la proposta di legge depositata alla Camera da Giuseppe Fioroni (Pd) e sottoscritta da Gian Luigi Gigli (Per l’Italia) e da Simone Valiante (Pd) e quella a firma di Nunzia Di Girolamo (Ncd), che recepisce il decreto legge che il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, aveva prima preparato e poi ritirato su richiesta di Renzi nell’agosto scorso. Il Pd aveva solennemente dichiarato, all’epoca, che l’eterologa non aveva bisogno di una legge e tantomeno di un decreto ministeriale per essere attuata. Si è visto nel frattempo che non è così: dal via libera della Consulta in poi, con quella tecnica sono nati in Italia solo due gemelli, e sulle modalità di donazione di ovociti che lo ha permesso pesano dubbi di irregolarità (tradotto: potrebbe essersi trattato non di donazione ma di compravendita, e c’è un’ispezione ministeriale in corso per appurarlo).
La via parlamentare, in ogni caso, è l’unica accettabile per normare questioni che toccano la vita, la morte, la coscienza, l’idea stessa di fatti come filiazione, matrimonio, rispetto della dignità umana. L’ambizione di perseguire la massima condivisione possibile porta con sé tempi lunghi, a volte infiniti. Ma farsi sedurre dalla strada delle forzature, anche nel caso in cui i numeri lo consentissero, non è mai considerata una buona idea. Questo principio non scritto spiega qualche paradosso apparente dell’attuale fase politica italiana. Mai momento è apparso, in teoria, più favorevole alle sterzate modernizzanti. Sulle unioni civili, per esempio, il Pd con i Cinque stelle potrebbero procedere senza indugi, tenendo anche conto del fatto che la componente dell’ex Pdl che oggi è tornata Forza Italia ha più che rotto le righe, almeno su alcuni temi come le unioni civili omosessuali. Eppure i pantani e le infinite anticamere sono lì, anche se alcuni capitoli sembrano, almeno in apparenza, più favoriti di altri. Sembrano non poterci o volerci farci nulla nemmeno i presidenti (entrambi di sinistra) dei due rami del Parlamento. Soprattutto quello della Camera dei deputati, Laura Boldrini, che pure avrebbe vasti poteri di mettere in calendario la discussione delle leggi, quando manca l’unanimità (che in effetti manca) delle forze politiche.
Prendiamo il disegno di legge sull’omofobia. Se ne parla dal 2009 e nella versione a firma Ivan Scalfarotto (Pd) ha superato nell’autunno del 2013 il passaggio alla Camera. Ora è fermo in commissione Giustizia al Senato e probabilmente ci rimarrà a lungo. Si capisce perché. Le perplessità su quel testo, che introduce un’aggravante specifica per violenza e istigazione alla violenza per motivi “fondati sull’omofobia o transfobia”, sono diffuse e sono state espresse in varie occasioni anche da parte di costituzionalisti laici, come Michele Ainis. Esiste un pericolo di limitazione della libertà di espressione: se dico che il matrimonio omosessuale è una parodia, istigo all’odio e alla violenza contro gli omosessuali? E, a maggior ragione, se lo faccio da una cattedra di scuola? Un sub-emendamento del deputato Gregorio Gitti (Scelta civica), poi entrato nel testo della legge ora in commissione al Senato, stabilisce che “non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente, ovvero assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”. Ottime intenzioni per un mostro giuridico: significa che certe affermazioni, considerate omofobe se fatte da un semplice cittadino, non lo sono più se le fa un ministro di culto? Ma la vera obiezione è un’altra: visto che a punire la violenza o l’istigazione alla violenza nel nostro ordinamento ci sono norme che valgono per qualsiasi persona (e non si capisce perché l’aggressione fisica a un omosessuale debba essere più sanzionata rispetto all’aggressione fisica a un eterosessuale), perché introdurre una nuova aggravante?
Per quanto scivolosa, quella della legge anti omofobia è la pratica più avanzata, perché ha già l’approvazione di un ramo del Parlamento. Tutto fa pensare che al Senato non andrebbe diversamente, eppure sta lì, ferma, anche se da quando il Pdl aveva votato contro (con la sola eccezione di Giancarlo Galan) è successo di tutto. Chissà se oggi, con la responsabile del Dipartimento libertà civili e diritti umani di Forza Italia, Mara Carfagna, che presenta la sua proposta di legge sulle unioni civili omosessuali (già appoggiata da una trentina di colleghi e contrastata apertamente solo da Gasparri), il partito di Berlusconi si ricorderebbe le obiezioni di illiberalità mosse al disegno di legge Scalfarotto.
Le unioni civili, si diceva. Il disegno di legge Cirinnà è stato approvato in prima lettura dalla commissione Giustizia del Senato a fine marzo. E’ un quel testo che non convince per primi molti esponenti del Pd, che lo accusano di voler introdurre un vero e proprio matrimonio omosessuale, equiparato in tutto (perfino nella possibilità di adottare il figlio del partner) a l’unico ammesso dalla nostra Costituzione (dobbiamo ricordarlo? Quello tra un uomo e una donna). Quel testo è passato in commissione in base a una maggioranza diversa rispetto a quella di governo: a favore Pd, Cinque stelle e il senatore Enrico Buemi del Psi, contrari gli esponenti di area popolare (Ncd e Udc). In materia, nello scorso luglio una quarantina di esponenti del Pd (primi firmatari i senatori Fattorini, Lepri e Pagliari) avevano elaborato un testo sulle “unioni civili registrate” per coppie dello stesso sesso, nella quale si esclude qualsiasi equiparazione, esplicita o occulta, all’istituto matrimoniale. L’unione civile prefigurata in questo caso comporta “la possibilità di scegliere un regime patrimoniale comune, così come la necessità di doveri di solidarietà all’interno dell’unione civile registrata; la necessità di garantire pari condizioni nei negozi e contratti sociali, nel campo del lavoro, dell’assistenza sanitaria, dell’abitare e dei diritti successori, oltreché naturalmente le norme relative al trattamento previdenziale e pensionistico”. Vicina a questa proposta, senza la reversibilità della pensione, è quella a firma Sacconi, Bianconi, Chiavaroli, Mancuso (Ncd), intitolata “Disposizioni in materia di unioni civili”. Vi si riconoscono i diritti individuali delle persone conviventi (dello stesso sesso o di sesso diverso) per come già sono stati indicati dalla giurisprudenza in questi anni, con l’aggiunta di quanto “ancora non è stato riconosciuto, in ambito lavorativo, sanitario, o nel sostegno allo stato di bisogno di uno dei conviventi da parte dell’altro. Tali diritti devono essere garantiti senza distinzione tra coppie di sesso uguale o diverso e senza entrare nella natura affettiva o meramente solidaristica delle convivenze stesse”. Entro il 7 maggio dovranno essere presentati gli emendamenti alla proposta Cirinnà, poi dovrebbe esserci il passaggio all’Aula senatoriale. Ma la stessa prima firmataria appare cauta. All’Espresso, ha detto che “i numeri ci sono, ma non si tratta di avere una maggioranza algebrica. Sui diritti poi le maggioranze sono sempre state trasversali”.
Maggioranze variabili, insomma, in un momento in cui non è detto che (con tanti fronti interni aperti nel partito di maggioranza) usarle e promuoverle sia un buon affare. Come non è un buon affare il sistema Hollande, che ha accelerato l’approvazione della legge sul matrimonio gay (in Francia, dove già esisteva da dieci anni la possibilità del Pacs) contando sui numeri parlamentari ma ben sapendo che il paese era spaccato (e in maggioranza contrario all’adozione per le coppie omosessuali, accordata con la nuova legge). E’ passato il “mariage pour tous”, è passata di recente anche una legge sull’eutanasia che introduce una forma di “sedazione terminale profonda” che assomiglia molto al suicidio assistito, nonostante i grandi movimenti contrari che si sono formati e sono cresciuti dal 2013 in opposizione alla biopolitica dei socialisti al governo. Eugenia Roccella, che nel governo Berlusconi, dal 2009 al 2011, è stata sottosegretario alla Salute e ora fa parte della compagine Ncd alla Camera, dice che “l’esperienza francese dimostra come portare in piazza centinaia di migliaia di persone non serva a nulla, se non esiste una sponda politica che in Francia per certe istanze non c’è o è troppo timida, anche nell’opposizione di centrodestra. C’è qualche remora solo sull’approvazione esplicita dell’utero in affitto, ma solo perché il premier Manuel Valls è contrario (forse solo per calcolo politico, visto che l’attivismo socialista sui nuovi diritti non ha impedito il crollo dei consensi per Hollande). Ma anche su quel tema specifico, ci hanno pensato le circolari del ministro della Giustizia, Christiane Taubira, ad aggirare il divieto, imponendo ai funzionari dello stato civile la registrazione dei bambini nati da maternità surrogata all’estero. Solo la legge che doveva ridisegnare ruoli e responsabilità nella famiglia è stata bloccata nello scorso marzo, ma perché nello stesso Partito socialista c’erano perplessità”.
[**Video_box_2**]Eugenia Roccella fu tra i protagonisti dei concitati giorni in cui, in pieno “caso Englaro”, il presidente della Repubblica, Napolitano, rifiutò di firmare il decreto governativo che stabiliva l’obbligo di alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti. Fu così dato corso alla richiesta del padre di Eluana Englaro di interrompere i trattamenti che la nutrivano e la idratavano, dall’epoca in cui un incidente l’aveva ridotta in stato di minima coscienza (termine più appropriato per quelli che un tempo si chiamavano “stati vegetativi”). In seguito, fu presentato dalla maggioranza un testo di legge intitolato “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” (primo firmatario il senatore Raffaele Calabrò) che nelle intenzioni avrebbe dovuto evitare altri casi Englaro. Un disegno di legge controverso e tormentato che fu il primo tentativo di affrontare il capitolo delle disposizioni di fine vita. Approvato alla Camera, come si diceva all’inizio, è rimasta fino alla fine della XVI legislatura in attesa di discussione in commissione Sanità, in Senato. Lo stesso Senato che, alla morte di Eluana, aveva votato una mozione del Pd che impegnava il Parlamento a realizzare una legge sul testamento biologico (mai vista). A ripresentarlo come gesto “di bandiera”, all’inizio della nuova legislatura, è stata Eugenia Roccella, alla Camera.
Al Senato, su posizioni diametralmente opposte, si sta muovendo Luigi Manconi (Pd). Una sua lettera firmata anche da quattro sottosegretari (Ivan Scalfarotto, Benedetto Della Vedova, Ilaria Borletti Buitoni e Sesa Amici) e da una quarantina di altri parlamentari, chiede la depenalizzazione dell’eutanasia e che “non venga sanzionato chi all’interno di una relazione di cura, su richiesta consapevole del paziente, acconsenta a sospendere la cura, ad accelerare un processo di morte, a prestare assistenza al suicidio o a compiere un atto eutanasico”. Si sollecita, a questo scopo, di calendarizzare la proposta di legge di iniziativa popolare depositata alla Camera nel settembre del 2013.
Difficile immaginare che in tempi brevi la cosa accada. Il senatore Manconi ci spiega che “l’attuale assetto parlamentare è fatto apposta per impedire di affrontare i temi bioetici. Nella maggioranza c’è un partito, il Nuovo centro destra, che ha fatto del rifiuto radicale di quelle tematiche un elemento intenso di identità. E’ un partito di governo con propri ministri, e uno di questi è il ministro della Salute, quindi ha un ruolo importante rispetto a molte di quelle questioni. Aggiungo che, nel Partito democratico, c’è una discussione molto accesa, una contrapposizione tra appartenenze e punti di vista. Penso in particolare al disegno di legge sulle unioni civili, rispetto al quale una componente del Pd del Senato è su posizioni di contestazione attiva su punti importanti. E poi interviene un altro aspetto: tutta, ma proprio tutta, la parte del Parlamento che si dice ispirata al liberalismo o che si protesta tale, declina in senso conservatrice la propria cultura liberale. Sia sulla mia iniziativa sulla depenalizzazione dell’eutanasia – lamenta Manconi – sia su quella di Benedetto Della Vedova che chiede la liberalizzazione della cannabis, firmate entrambe da decine di parlamentari, si è palesata la frattura più convenzionale tra destra e sinistra. Solo Capezzone, nel centrodestra, ha firmata quella sull’eutanasia, mentre sulla legalizzazione della cannabis si è espresso a favore solo Antonio Martino”. A giudizio di Manconi questa che lui chiama “rigidità quasi caricaturale” non ha a che vedere “con il cattolicesimo italiano ma con la cultura del centrodestra dove la componente cattolica c’è ed è appunto quella dell’Ncd, con Sacconi, Quagliariello e Roccella. Una componente che, per quanto piccola, ha fatto un’operazione culturale interessante in un partito, l’allora Forza Italia, completamente privo di un sistema di valori autonomo, un partito pagano e anarchico. Si sono detti: che cosa c’è nella sfera pubblica, di tuttora vitale, che possa diventare un punto di riferimento? La morale pubblica cattolica, è la risposta, quel senso comune che governa gli orientamenti collettivi al di là della pratica religiosa”. Sulla legge sull’omofobia, il senatore Manconi pensa poi che “la versione uscita dalla Camera sia sbagliata dal punto di vista della stessa scrittura giuridica. Anche se non credo che in Italia davvero qualcuno sarà mai condannato, anche in base a quella legge così com’è, per aver pronunciato una frase omofoba”.