“Vaste programme” di Laura Boldrini (nel libro di Laura Boldrini medesima)
Roma. Più che un libro è un diario (ma di viaggio). E più che un diario è un programma, anzi il programma, il “vaste programme” di Laura Boldrini, presidente della Camera e paladina dei diseredati tutti. Lo si capisce già dal titolo del volume Einaudi, appena uscito in libreria e presentato stasera a Roma, con Eugenio Scalfari, al Tempio di Adriano: “Lo sguardo lontano”, si chiama lo scritto di memorie e pensiero, e lo sguardo, si capisce, è il suo, quello di Laura, che già a vent’anni lasciò le natìe Marche per farsi campesina in Venezuela e addetta stampa a Tegucigalpa, per poi lavorare alla Fao, e all’Onu, e all’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. Ma è anche altrui, lo sguardo, e precisamente quello di chi vuole essere “casa della buona politica”. E Laura, si sa, vuole esserlo più che mai.
Si è ridotta lo stipendio, racconta nel libro, ha lottato per la trasparenza e per la sobrietà e contro il maschilismo e per il lavoro e per i migranti e per i vessati e per i discriminati e per le vittime delle politiche europee di ossessiva rigidità, ma anche per l’Europa unita, a patto che fosse l’Europa buona della generazione Erasmus. E si è interrogata, Laura, dopo essersi descritta piena di emozione al primo giorno di legislatura (per non dire del primo giorno da presidente eletta). Emozionata, sì, perché non si aspettava nulla, Laura: né di essere chiamata da Nichi Vendola in persona a candidarsi nelle liste di Sel, a fine 2012, né tantomeno di essere stata destinata allo scranno più alto di Montecitorio. Perché Laura ad altro pensava: al razzismo, al rinascente fascismo, persino al nazismo nato dopo un’altra grande crisi, quella del ’29, e tutto si tiene e tutto rischia di riprecipitare, se non si vigila, è il concetto. E Laura vigila. Continuamente. Anche, anzi tanto più da presidente della Camera. Talmente vigila, Laura, che qualcuno, agli albori del suo mandato, aveva persino fatto dell’ironia: ma perché Boldrini non si candida a sostituire Nichi Vendola alla guida Sel? Ma perché, a ’sto punto, non la candidano al Nobel?
[**Video_box_2**] Ma Boldrini proseguiva lungo la sua via, dolente come quando, alla Camera, pronunciava il nome del (non eletto) presidente Stefano Rodotà, suo faro nella notte, e cominciava a prendere provvedimenti contro “il sistema gaglioffo e malato”: “Per chi come me si batte per un’idea di buona politica ogni giorno è in salita”, diceva Laura, in guerra contro gli spreconi, ovvio, ma senza cedere al becerume dell’antipolitica (Beppe Grillo ci andava giù pesante: “Miracolata di Vendola”, la chiamava, invitandola a “studiare la Costituzione”). Oggi Laura sorride a Matteo Salvini che le dice “sei il nulla”, sorride e ingaggia battaglie genere “corpo delle donne”, adorata da Michela Marzano. Sorride incompresa, a volte: dal diario-programma traspare l’amarezza per la battaglia non ancora vinta contro le discriminazioni linguistiche (“presidenta” invece di “presidente”, insomma). E soffre, Laura, concentrato di serietà, bontà e sobrietà (l’autoironia può attendere).