La politica è sangue, merda e House of cards. Letta lo dica ai suoi studenti
Che Enrico Letta si dimetta da deputato e da settembre vada a insegnare in una prestigiosa scuola francese di scienza della politica è una non-notizia. La notizia invece è che non gli piace House of Cards, la detesta proprio, dice che è la peggiore serie televisiva mai vista, che dà un’idea orrenda della politica, la riduce a intrighi in cui accadono cose raccapriccianti e mette in scena personaggi che spera non esistano nella realtà.
Enrico Letta è homme de delicatesse e di buona educazione, è competente, dà il meglio di sé nell’analisi e nella preparazione dei dossier. Ma nel suo ripercorrere i sacri testi della scienza della politica che idea trasmetterà o farà trasmettere a schiere di ignari ventenni?
La politica come comunità di volontà e di intenti, come sodalizio delle intelligenze e delle anime, come progetto e capacità di convincere, persuadere, di ricercare consenso, come arte di coltivare le élite o poteri che se non proprio forti almeno sono così così? La politica insomma alla Battisti- Mogol, pensieri e parole? François Hollande è uno dei più accaniti parlatori della politica mondiale, non fa prigionieri, gli interlocutori li sfinisce a colpi di incisi, parentesi, subordinate, sintesi, ha fatto così in tutta la sua gloriosa carriera nell’apparato del partito socialista. I risultati disastrosi della sua azione di governo però confermano che parlare per parlare non serve, è cosa inadeguata: si parla per mentire, mascherare, nascondere, dissimulare, fuorviare, tutte azioni ben più importanti in politica. La cui essenza è l’eliminazione degli avversari e fare in modo che un poco di buono con pochi scrupoli e un certo istinto da killer si imponga come leader.
Mazzarino e Richelieu, Napoleone, De Gaulle e per restare in anni più recenti Mitterrand: da candidato sconfitto lasciò che si compisse contro di lui un attentato di cui era perfettamente a conoscenza, da segretario di partito organizzò il killeraggio di oppositori e rivali, da presidente fece affondare la goletta di Greenpeace che cercava di impedire gli esperimenti nucleari nella Polinesia francese. Insomma giganti maligni dell’agire politico, quelli di House of Cards in confronto sono chierichetti.
L’idea che la politica debba essere controllabile e trasparente, che si nutra di dedizione e spirito di servizio alla collettività, di cultura dell’interesse generale, è nobile ma al più ne è una rappresentazione parziale: c’è anche la merda, tanta. La forza materiale, i soldi, gli interessi. E il sangue, l’ambizione personale, l’insofferenza se non l’odio che il politico di razza non può non provare contro chiunque lo intralci. La politica è volontà di rappresentazione e di sopraffazione e ha un grande lato oscuro.
Letta il giovane ha fatto ottimi studi, ha avuto ottime frequentazioni, fin dai tempi della Dc è stato sempre all’orecchio di chi aveva un po’ di potere: in questo mondo particolare di sussurratori, di smussatori di angoli, si è portati a credere che il potere venga dato, trasmesso e non conquistato. Infatti Letta ha guidato un governo di larga coalizione senza aver conquistato la leadership e senza essere passato attraverso una qualsiasi forma di suffragio universale, semplicemente per essere stato scelto e messo lì da uomini importanti e autorevoli.
Si è trovato dunque senza forza propria, senza adeguati sensori d’allarme e senza essere pronto a uno scontro, meno che mai fratricida, quando dal nulla è emerso un bullo, spinto dalla forza esclusiva della propria volontà, dall’ambizione, da un istinto predatorio, ancora più pericoloso per mancanza di scrupoli e gusto carnivoro per la vendetta sia essa calda o fredda: Matteo Renzi una serie preferita ce l’ha, è House of Cards.
[**Video_box_2**]Per onestà intellettuale il neoprofessore dovrebbe cominciare con il dire agli studenti che la politica l’ha fatta per davvero, anzi per anni non ha fatto altro, ma che è andata male. Dovrebbe farli esercitare sulla sua personale parabola, chissà che a fine corso non riesca a elaborare la sconfitta. Ancora non se ne è fatto una ragione. Sennò non sarebbe andato in televisione a dire che espatriava – che a Fabio Fazio gli sono venute le ciglia umide – ma a dire di Renzi quello che i comunisti seri dicevano un tempo di Stalin, che sbagliava in tutto tranne che nel metodo.
E gli avrebbe reso il dovuto omaggio per aver finalmente cominciato a tagliare teste, compresa la sua, primo pedagogico passaggio alla fase adulta – e moderna – della politica.