L'altra intervista a Mattarella
Premessa metodologica: questa intervista non è mai stata pubblicata. Sono le domande e le risposte del dialogo tra il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, e il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Le domande che Mauro non gli farà e le risposte che Mattarella non gli darà. Le pubblichiamo qua, in esclusiva, sul Foglio.
Presidente, sono ore convulse, il Parlamento si è spaccato sulla nuova legge elettorale, l’Italicum. Lei ha nostalgia del Mattarellum?
Lei sa che potrei non rispondere alla sua domanda, trincerandomi dietro il riserbo istituzionale, essendo questa materia del Parlamento. Ma con lei non posso sottrarmi e le dirò quanto segue: le leggi elettorali si possono fare insieme e anche solo con chi ci sta. Il governo e la maggioranza che lo sostiene cominciarono questo lavoro con un accordo con il maggior partito d’opposizione, poi questo percorso comune si è interrotto, ma questo non significa che non si debba approvare la legge o, addirittura, che si possa incoraggiare la dittatura della minoranza per cui pochi impongono modifiche sostanziali alla legge. Il presidente Renzi può e soprattutto deve – vista la decisione della Corte Costituzionale di cui, come lei ben sa, io facevo parte – far approvare la riforma presentata dalla maggioranza. Quanto al Mattarellum, lei ricorderà che non fui io a coniare quel nome, ma il professor Giovanni Sartori, inoltre il merito politico di quella svolta è del movimento referendario guidato da Mario Segni nel 1993. Io fui solo uno strumento del fato politico. Sono trascorsi più di vent’anni, io ho i capelli bianchi (mentre lei, stranamente, li ha ancora tutti neri). Prima e Seconda Repubblica sono finite, con Matteo Renzi ne è cominciata una terza. E’ il capitolo di un’altra storia e dunque no, le confesso di non aver alcuna nostalgia del Mattarellum. Siamo tutti cambiati e invecchiati, da allora. Perfino lei ha qualche anno in più, nonostante la sua lucida criniera nera, caro direttore Mauro.
La collaborazione con Forza Italia, il Patto del Nazareno, a cui lei ha accennato, s’è rotto proprio a causa della sua elezione al Quirinale. Non si sente in imbarazzo per questo?
Nel mio partito d’origine, la Democrazia Cristiana, ci si divideva spesso, in forma perfino tribale, se vuole, ma poi si trovava sempre una sintesi intorno al segretario. Mi piacerebbe che fosse così anche oggi. E’ uno spirito che la politica sembra aver perso, eppure c’è spazio per ricomporre il quadro politico. A cominciare dalla Libia e dal dramma dell’immigrazione. Ho letto un articolo molto saggio del senatore Giorgio Tonini sul Foglio…
… ma Presidente… Il Foglio sostiene la riedizione del Patto del Nazareno, noi di Repubblica no!
Conosco la sua opinione in merito, direttore. Ma mi consenta… il senatore Tonini esprime una posizione ragionevole, un approccio pragmatico su un tema che coinvolge tutti: la politica, le istituzioni e voi che avete un compito delicatissimo, informare. Collaborare con Berlusconi su questi punti è doveroso. Quanto all’imbarazzo, mi spiace esser stato un elemento di dissonanza tra il Partito democratico e Forza Italia, spero si rinnovino le occasioni di dialogo tra le forze politiche, per il bene del Paese, come ho detto nel discorso del mio giuramento.
Andiamo avanti. La sua elezione al Quirinale serviva a unire il Pd. Anche quello s’è rotto. Che ne pensa?
Sono in sintonia con quanto ha raccontato il presidente emerito Giorgio Napolitano ad alcuni cari amici comuni. Il mio predecessore, uomo accorto e di mediazione in un periodo turbolento della nostra storia, aveva infine compreso i pericoli che vengono dalle continue revisioni forzate al processo legislativo. Esiste un dispotismo della minoranza nocivo quanto quello della maggioranza. Serve equilibrio, caro Mauro, questo è il segreto della politica.
Presidente, poteva esserci Romano Prodi oggi qui al suo posto?
Sì e no. Sì per la capacità e l’esperienza di Prodi, certamente superiori alle mie. No perché non c’è mai stata sintonia personale e politica tra Renzi e Prodi. Io sono stato la mediazione del momento ed eccomi qua con lei al Quirinale.
Un uomo delle istituzioni, un democratico, Enrico Letta ha annunciato le dimissioni dal Parlamento. E’ in polemica dura con Renzi. Ha detto di esser stato rincuorato nella decisione dopo un incontro con lei. Che cosa ha raccontato a Letta?
Siamo personaggi pubblici, ma esiste una sfera di rapporti personali che non posso infrangere. Tuttavia, con lei e il suo giornale, ho il dovere di dire qualcosa: rispetto la decisione di Letta, è un uomo retto e ha servito il Paese, ma a volte bisogna saper accettare la sconfitta continuando a servire nelle istituzioni che ti hanno dato la possibilità di essere quello che sei. Uscirne sbattendo la porta – seppur con studiata grazia – rischia di rafforzare l’idea qualunquista che vede le istituzioni come un luogo dove vanno i peggiori. Questo non è vero. Ci sono le parole, i fatti e gli atti personali a raccontare la storia di un politico.
Il presidente Francesco Cossiga confidò di sentirsi un intruso al Quirinale. Il suo settennato fu ben oltre le righe, noi di Repubblica lo attaccammo e sostenemmo l’impeachment. Anche lei si sente un intruso?
No, non mi sento un intruso. Essere in questo Palazzo è un privilegio concesso a pochi. Credo di avere un destino e, come lei ben sa, sono molto religioso e penso che Dio mi abbia chiamato a questo compito. Non sorrida, non mi fraintenda, sono un laico e devo servire il Paese secondo le leggi dello Stato e non le mie convinzioni personali. Il compianto Presidente Cossiga era un amico, spesso su posizioni diverse, nei momenti d’ira mi avrebbe dipinto - calcando l’accento sul punto - come un “cattolico democratico”, era polemico come sono i sardi di valore, ma sempre leale. Era il figlio di un’isola, come lo sono io. E ne custodisco la figura con struggimento. La vicenda Moro fu per lui un passaggio politico e umano d’immenso dolore. Cossiga va ricordato come quello che amava essere: un patriota.
Non sono d’accordo con questa sua lettura. Ha citato la fede e qualche giorno fa ha incontrato Papa Francesco. Qual è stata la sua impressione?
Non ho il privilegio di avere un rapporto diretto con Sua Santità come Eugenio Scalfari, il vostro Fondatore. Sono un cattolico, un fedele, che oggi veste i panni del Capo dello Stato. Papa Francesco è una straordinaria figura, un punto di riferimento. La legge dello Stato è la mia mappa per le vie terrene, il Papa è la mia bussola morale.
Sa cosa dicono di lei i quirinalisti? Che ha paura del suo incarico. E’ così?
Sì, ho paura. E’ un incarico gravoso e temo tutti i giorni di sbagliare. Non amo comunicare, non sono un esternatore, preferisco parlare solo negli atti ufficiali. Anche questa intervista, devo confessarglielo, mi mette a disagio. Lei è un giornalista tagliente. So che dovrei avere un atteggiamento diverso, più consapevole del mio ruolo, più consono alla comunicazione in tempo reale, ma il mio spirito è meditativo e le mie azioni hanno sempre bisogno del conforto interiore.
Lei fu ministro con il governo di Massimo D’Alema. Ha mai assaggiato il suo vino?
Ecco, vede direttore, lei conferma la fama del suo carattere, sta diventando tagliente. Non sono un grande bevitore né un sommelier, ma ho assaggiato il vino di D’Alema e tutti gli esperti ne dicono un gran bene.
Quel vino l’ha inguaiato. Cosa ne pensa dell’inchiesta sulla coop Concordia?
Non ne penso niente per dovere istituzionale, le ricordo che sono anche presidente del Csm. Dunque resto in attesa di leggere gli atti finali della magistratura. Ma con lei posso dire che condivido le preoccupazioni dell’onorevole D’Alema sugli eccessi giudiziari, sull’enfasi, sul cortocircuito tra informazione e giustizia. Sono temi che un direttore importante come lei conosce bene e dovrebbe essere una sua preoccupazione coniugare diritto di cronaca, privacy e onorabilità delle persone. D’Alema, tra l’altro, non è neanche indagato. Il tempo sarà certamente galantuomo, ma è anche vero che i processi in piazza sono crudeli e spesso si rivelano ingiusti.
A proposito di indagati e pregiudicati. Ho una domanda che si fanno tutti i lettori di Repubblica: lei ha invitato l’ex senatore Silvio Berlusconi al Quirinale il giorno del suo giuramento. Era ancora ai servizi sociali. Non le è parso inopportuno?
Direttore, sarebbe stato inopportuno non invitarlo. La politica non si fa con i verbali delle questure e i verdetti dei magistrati. Berlusconi è il fondatore di uno dei più grandi partiti italiani, rappresenta vent’anni di storia politica, è un interlocutore istituzionale. E’ vero, venne al Quirinale quando ancora era ai servizi sociali, ma non era di venerdì giorno appunto del suo impedimento giudiziario, quindi… Berlusconi è stato giudicato, ha espiato la sua pena, è un uomo libero e ha tutti i diritti di un uomo libero.
Ma non potrà candidarsi!
Direttore caro, comprendo il suo puntiglio, ma questa è un’altra storia. L’incandidabilità non è eterna e mi pare peraltro che sia pendente un ricorso. Rispettiamo e aspettiamo la giustizia con serenità.
Lei ha mai creduto alla trattativa Stato-Mafia?
Sono un uomo di diritto, dunque le accuse devono essere provate. E finora ho letto molti articoli di giornale, alcuni perfino interessanti, ma di prove non ne ho visto alcuna. Ho militato nella Dc per gran parte della mia vita, non mi pare fosse un partito colluso con la mafia. Se lo fosse stato, mio fratello Piersanti non sarebbe mai diventato presidente della regione Sicilia e non sarebbe stato ucciso dalla mafia. Inoltre, le confesso che faccio una enorme fatica a immaginare Nicola Mancino che tratta la resa dello Stato con i boss mafiosi. Moderazione, direttore Mauro, moderazione.
Cosa pensa della morte di Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale? Condivise lo sdegno di allora di Napolitano?
[**Video_box_2**]E’ stata una tragedia che ha sconvolto tutti noi. Sono vicino alla famiglia del compianto D’Ambrosio e ho condiviso le parole del presidente Napolitano. E’ stata una brutta pagina della nostra storia recente. E dobbiamo fare in modo – tutti – che non si ripeta più.
La Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che Bruno Contrada ha subìto una condanna ingiusta per un reato – il concorso esterno in associazione mafiosa – dai contorni indefiniti. Che ne pensa?
E’ una vicenda che mi ha profondamente turbato. Quella di Contrada è una storia lunga e piena di dolore. Ho notato che pochissimi giornali hanno dato al fatto il rilievo che meritava. Neanche il suo mi pare abbia brillato in questo caso. Non voglio criticarla, sia chiaro, è un problema dell’informazione in generale, ma mi spiace, perché il diritto ha stabilito una verità diversa da quella che è stata raccontata. E se il diritto deve trionfare – come pensiamo io e lei – allora, ancora una volta, bisogna mostrare maturità ed equilibrio e restituire a Cesare quel che è di Cesare. La verità.
Lei ha mostrato di voler dare un segnale diverso sui costi della politica. Ha preso il tram a Firenze e l’aereo di linea per andare a Palermo. Perché?
Volevo dare subito un messaggio di discontinuità ai cittadini.
La informo che il suo tram era scortato dalle pantere della polizia e il pilota del suo volo di linea poi si è rivelato uno che sparava con la pistola. Zero risparmio, scarsa sicurezza. Ha sbagliato a cedere al grillismo degli scontrini? Sì o no?
Ho seguito il mio istinto e qualche consiglio che mi è stato dato in buona fede. Ma colgo volentieri il punto critico della sua domanda. Sa, la politica ha bisogno di riconquistare una cifra nobile, pensavo di poterlo fare anche così. Può considerarmi un ingenuo, se crede, ma di sicuro non che sono in cerca di visibilità.
Ma lei è un cittadino come gli altri in un posto che non è come gli altri: è il Presidente della Repubblica. E ci sono problemi di sicurezza che vanno oltre la sua volontà personale.
Sì, ora me ne rendo conto. Oggi so di essere la più alta istituzione e non solo l’essere umano che si guarda allo specchio tutte le mattine. E la ringrazio per questo passaggio critico. Ma le confesso che in cuor mio mi piacerebbe continuare a prendere il tram e l’aereo di linea. Non so se sarà possibile.
I Servizi Segreti non dovrebbero consentire al Capo dello Stato di mettere a rischio la sua persona e quella dei cittadini.
Non c’è bisogno di incalzarmi, direttore. Lei sa bene che non c’è stato alcun rischio e capisco la fondatezza dei punti critici che ha esposto. Sono tutte valutazioni che abbiamo già fatto e stiamo facendo con i miei collaboratori. Qui al Quirinale sono circondato da persone moderate.
Dopo la strage di Milano si è parlato di attacco alla magistratura, poi lei ha voluto precisare il suo messaggio al Csm. Perché l’ha fatto?
Perché l’emozione fa perdere lucidità anche a un politico anziano come me. Non si finisce mai di imparare, direttore. L’autore della strage era un uomo con evidenti problemi, uno squilibrato, non un attentatore con un fine politico. La magistratura poi, a sua volta, è caduta nella retorica della difesa corporativa. E’ stato un errore di tutti, bisogna riconoscerlo, farne tesoro, e andare avanti. Se ho ecceduto o dimenticato qualcuno, mi scuso.
All’estero la conoscono poco. Si sente a disagio qualche volta?
Disagio no, sono una persona che sa ascoltare. E come sa e può apprezzare, io preferisco il silenzio. Ma quello che dice è vero e proprio per questo ho cominciato un tour nelle capitali europee dove trovo grande apprezzamento per la nostra nazione.
Matteo Renzi è salito al potere con il programma della rottamazione del Pd e poi di tutto il resto. Dica la verità, non ha paura di essere rottamato prima o poi anche lei?
Starò in carica sette anni, se Dio lo vorrà. E il presidente Renzi, tanto giovane e tanto ricco di energia, sa che potrà contare sulla doverosa collaborazione istituzionale del Capo dello Stato. Caro Mauro, io non sono il direttore di un grande giornale come lei. Io ho un compito più modesto del suo, sono chiamato solo a servire lo Stato. E non voglio essere né un antagonista né un protagonista. Sono e sarò, semplicemente, Sergio Mattarella.