Salvateci dal nuovo prodismo
In questi giorni di grandi sbadigli che ci riserverà il dibattito sempre più appassionante sulla legge elettorale (la legge da ieri è in Aula, Renzi, che ieri ha inviato una lettera ai segretari di circolo per dire che se la legge non passa il Pd perde la sua dignità, oggi deciderà sulla fiducia, le opposizioni del Pd chiedono che in cambio di un voto tranquillo venga rivisto il meccanismo del Senato elettivo) c’è un punto importante che va però inquadrato per capire cosa c’è in ballo nella discussione relativa al dossier Italicum: ma qual è l’alternativa? Qui non si tratta di andare a raccontare quali sono le opzioni tecniche e non si tratta di andare a raccontare quali sono le possibili opzioni politiche che si aprirebbero nel caso in cui il premier dovesse sbattere contro un palo (dovesse succedere, però, non si vota, tranquilli). Si tratta invece di andare a raccontare qual è l’alternativa culturale al renzismo, e al modello di legge rappresentato dall’Italicum. E quell’alternativa è inquadrata in modo egregio nelle parole consegnate da Romano Prodi a Marco Damilano in un libro appena uscito per Laterza: “Missione incompiuta”. Dove “incompiuta” è un eufemismo dolce, educato e carino per non utilizzare la parola giusta, che riassumerebbe bene tanto l’esperienza di Prodi quanto la natura dell’opposizione a Renzi: fallita. Renzi e Prodi, a guardar bene, pur condividendo nel proprio lessico alcuni termini che apparentemente potrebbero spingere l’osservatore pigro a inserire l’ex premier e l’attuale premier all’interno di una stessa tradizione (entrambi bipolaristi convinti, entrambi teorici delle primarie, che proprio oggi compiono dieci anni, auguri), hanno in realtà visioni del mondo una agli antipodi dell’altra: tanto in materia di sistemi politici, quanto di organizzazione dei partiti e di visione del governo. E dato che in questi giorni il Prof. bolognese, con generosità da verginella, sta provando a riscrivere la storia della sinistra italiana contrapponendo il suo modello di buona politica a quello della cattiva politica attuale (renziana o non renziana che sia), per inquadrare bene l’alternativa prodiana bisogna partire da una clamorosa omissione contenuta nel libro: la parola Unione. Parola che – ops – nelle 264 mila battute di intervista viene sussurrata dal Prof. la bellezza di una volta soltanto: a pagina 88. E’ tutta qui, se vogliamo, la differenza tra il renzismo e il prodismo.
E’ nella differenza tra chi ha pensato (prodismo) che per costruire un solido progetto politico fosse necessario sacrificare l’identità di una maggioranza sull’altare delle richieste delle minoranze e tra chi invece oggi pensa (anche a costo di forzare il sistema, di giocare a fare la faccia da bullo, come sta facendo il renzismo) sia una follia suicida l’idea di dover mettere le maggioranze al servizio delle minoranze in nome non si capisce di quale strano principio democratico. E il termometro migliore per capire l’appartenenza a una delle due scuole è la reazione che ognuno di noi ha rispetto a quello che è il tema centrale della legge elettorale: è legittimo o no il premio di maggioranza alla lista? E poi: è legittimo oppure no far sì che i piccoli partiti che si vogliono coalizzare con i grandi partiti lo facciano da una posizione di debolezza e non di forza? Il prodismo – come dottrina politica che crede fortemente nella necessità di dover giocare sul principio della “non esclusione” (principio in base al quale ci siamo ritrovati per diverse legislature Di Pietro al governo, grazie davvero Romano) – è dunque quanto di più lontano ci possa essere dal violento decisionismo renziano, ed è naturale che chi voglia immaginare un domani dopo Renzi (Letta e dintorni) non possa che appellarsi al pensiero del Prof. e alla sua romantica teoria dell’inclusione.
[**Video_box_2**]Comprensibile che questo modello piaccia all’opposizione interna al Pd (mozione Tafazzi). Meno comprensibile che il modello Prodi piaccia a chi crede che il centrodestra del futuro non debba essere una grande armata brancaleone, una sorta di Unione di centrodestra. Per pietà non vi diremo chi sono i campioni di Forza Italia che nel 2007 firmarono il referendum elettorale Guzzetta-Segni che prevedeva il premio di maggioranza alla lista (anzi no, bugia, ve lo diciamo nell’inserto IV). Ma per amor di patria vi diciamo come la pensiamo: se la truppa berlusconiana vuole che Forza Italia (o quel che sarà) riacquisti centralità e sia spinta a fare concorrenza davvero al Pd, il modo peggiore per farlo è mettere in campo un casinaro prodismo di destra. Anche perché il modello Turigliatto lo abbiamo già visto in campo e abbiamo già visto i risultati che porta. In due parole semplici: missione fallita.