Diego Della Valle (foto LaPresse)

Scusi, lei ha un programma politico? No, però intanto lo chiamo Italia

Maurizio Crippa
Dice che non sarà un partito. Però si chiama Noi italiani e, in questo tempo sospeso in cui il massimo dell’utopia è un partito che si chiami “della Nazione”, dire “noi italiani” è già il massimo di contenuto. L’associazione battezzata da Diego Della Valle sarà “un incitamento ad amici e colleghi a mettersi a disposizione del paese”.

Dice che non sarà un partito, e ci mancherebbe solo. Però si chiama Noi italiani e, in questo tempo sospeso in cui il massimo dell’utopia è un partito che si chiami “della Nazione”, dire “noi italiani” è già il massimo di contenuto – un manifesto, una risoluzione strategica – cui poter aspirare. L’associazione battezzata da Diego Della Valle sarà “un incitamento ad amici e colleghi a mettersi a disposizione del paese”. Un’associazione di idee, insomma: qualcosa meno di un lapsus. Non “di destra né di sinistra”, ché quella netta bipartizione del mondo solo le scarpe possono ancora permettersi. In questo tempo sospeso, tomisticamente “nomina sunt absentia rerum”. Così il nome proprio “Italia”, e l’aggettivo suo, hanno subìto uno slittamento semantico. “Italia”, da espressione geografica, o metafora vagamente statuale, è diventato un contenuto politico specifico, un programma autoevidente. Il Partito comunista era “italiano”, il repubblicano era “italiano”, pure i Radicali sono “italiani”.

 

Ma erano comunisti, repubblicani, radicali (i democristiani no: a dimostrazione che i cattolici non sono italiani) con i loro programmi, accidentalmente incardinati alla penisola. Il mutamento è (curiosamente?) avvenuto ad opera di quella società civile, di quella borghesia, di quei mecenati prestati alla politica che hanno sempre accusato i partiti di mancanza di contenuto. Cosicché Mr. Tod’s fonda un’associazione di cui si ignorano senso e scopo, se non che sono “italiani”. Corrado Passera ha fondato un partito, Italia unica, la cui direzione di marcia, a tutt’oggi, è tautologicamente fissata nel titolo. Precursore fu Montezemolo con Italia Futura, e la sua storia è icona della mancanza di futuro. C’è il bombastico Fratelli d’Italia, e pure lì il contenuto sta chiuso nell’inno di Mameli. Direte: ha iniziato il Cav. Ma, primo, Forza Italia è stato un brand di successo; secondo, l’aveva scelto un grande pubblicitario come Marco Mignani, e non era il contenuto: era il claim. L’immenso Mino Reitano, in due versi cantava un intero programma politico: “Quest’Italia che respira / sempre bella e c’è un perché”. In questo tempo sospeso, sarebbe quantomeno a capo di un think tank.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"