Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi (foto LaPresse)

La scissione che non ci sarà

Claudio Cerasa
Italicum for dummies. E il premier che ci farà con la legge e il decisionismo? A giudicare dai numeri di ieri, in teoria, lo spazio per creare un nuovo gruppo alla Camera ci sarebbe. Al primo voto di fiducia sull’Italicum a Renzi sono mancati circa cinquanta deputati e per fare un gruppo alla Camera di deputati ne sarebbero sufficienti 20.

Scissione. La scissione, come è evidente, non ci sarà neanche stavolta e come volevasi dimostrare la fiducia sull’Italicum non ha spaccato il Partito democratico ma ha spaccato la minoranza del Pd (50 deputati di Area riformista, corrente Bersani-Speranza, hanno votato la fiducia al contrario di quanto annunciato da Bersani e Speranza). Se la scissione però non ci sarà, e se dunque l’inaccettabile comportamento del presidente del Consiglio non risulterà al fondo essere così inaccettabile, il tema vero che andrà studiato dagli astrofisici nelle prossime settimane è: che forma di vita è quella laggiù chiamata “minoranza del Pd”? E come si può pensare che le posizioni di un pezzo importante del partito – che prima minaccia di non votare la fiducia, poi dice che non è vero che non la vota ma esce solo dall’Aula, poi infine decide di non uscire dall’Aula e di votare la fiducia – possano essere capite non tanto dai deputati amici o dai giornalisti ma più in generale dagli elettori? A giudicare dai numeri di ieri, in teoria, lo spazio per creare un nuovo gruppo alla Camera ci sarebbe. Al primo voto di fiducia sull’Italicum a Renzi sono mancati circa cinquanta deputati (352 sì, 207 no, maggioranza 316, voti a disposizione di Renzi circa 400, voti persi dal Pd 36) e per fare un gruppo alla Camera di deputati ne sarebbero sufficienti 20. In teoria si potrebbe. In pratica anche stavolta non succederà. Anche perché il problema, ieri come oggi, non è di poco conto: usciamo dal Pd, sì, e poi? Andiamo tutti con Vendola? Scaliamo l’Italia con Civati? E poi boh, già.

 

Già, e poi? La domanda in teoria è più che legittima e non ha tutti i torti Cuperlo quando dice che “lo strappo sull’Italicum avrà delle ripercussioni anche sui termini politici e sui tempi della legislatura”. E’ davvero questo quello che vuole Renzi? Il piano di Palazzo Chigi al momento prevede un timing che fissa al 2017 la vera data delle elezioni. Approvare oggi l’Italicum per Renzi è importante perché se si crea una ferita il modo migliore per sanarla è quella di cicatrizzarla con un grande bagno elettorale (nel 2014, il voto europeo servì a cicatrizzare la ferita dell’essere arrivato al governo senza passare per le elezioni, cosa che Renzi aveva promesso che mai avrebbe fatto; nel 2015, le regionali serviranno a cicatrizzare la ferita dell’aver fatto la legge elettorale a botte di maggioranza, cosa che Renzi aveva promesso che mai avrebbe fatto). Ma era anche importante perché con l’Italicum in mano la minaccia del “se non fate questo, andiamo a votare” ora sarà più credibile – e come si sa con un Parlamento come questo formato da deputati e senatori che nella stragrande maggioranza non saranno confermati nella prossima legislatura la psicologia ha un suo peso (cattiveria: chissà se è solo un caso che Renzi abbia voluto costringere i parlamentari a confrontarsi con una legge così divisiva prima di aver maturato il vitalizio). Se questo è lo schema, Renzi però sa che non può governare a lungo giocando solo con le spallate. Il presidente del Consiglio dovrà dunque allargare ancora di più la sua maggioranza, soprattutto al Senato, dove i numeri, per le riforme divisive, rischiano di non esserci. Come farlo? Con un altro Nazareno. Non direttamente con Forza Italia. Ma con quei gruppi parlamentari che dopo le regionali (che saranno un dramma per il centrodestra) usciranno verosimilmente da Forza Italia e che troveranno anche un posto a tavola quando (notizia) a giugno il governo cambierà qua e là alcuni sottosegretari. L’idea è questa. E senza un mini Nazareno per Renzi la legislatura rischia di durare meno del previsto.

 

[**Video_box_2**]Decisioni. Va bene, sì, lo abbiamo capito. Quando vuole Renzi sa essere decisionista. E il fatto dunque che una cosa si possa fare, se solo la si vuole fare, è un principio assodato, e compito di Renzi ora sarà quello di evitare che il decisionismo venga utilizzato solo nelle partite già vinte. La sfida di Renzi, una volta incassato l’Italicum, sarà dimostrare che il decisionismo ha un suo riflesso non soltanto nelle battaglie politiche ma anche in quelle economiche (liberalizzazioni, spending review, fisco). Nei prossimi due anni l’economia italiana crescerà del 2 per cento (stime Mef) ma se pensiamo che di questo due per cento l’1,4 è l’effetto Draghi (stima Bankitalia) e lo 0,2 arriverà dell’Expo l’effetto Renzi in economia semplicemente non c’è. Ed è inutile girarci attorno: si potranno dare agli imprenditori tutte le decontribuzioni del mondo e tutti i Jobs Act dell’universo, ma senza crescita non c’è lavoro. E se l’impatto di Renzi sulla crescita resterà quello che è, ci sarà davvero da mettersi le mani nei capelli.

 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.