Perché il nostro “no”

Paolo Romani
Forza Italia poteva accettare una legge costruita a misura di Renzi solo con un Quirinale condiviso

Al direttore - Vorrei iniziare come non si dovrebbe mai fare, e cioè citandomi: “Con la legge elettorale che oggi (27 gennaio 2015, ndr) votiamo, riappropriandoci dopo la sentenza della Consulta, della sovranità parlamentare su una materia cardine della democrazia, ridisegniamo un nuovo equilibrio dei poteri: un esecutivo più forte, un Parlamento più snello nelle sue articolazioni e più rapido nelle decisioni ed un Capo dello stato nuovamente di garanzia. [...] Un presidente che sia arbitro fermo e imparziale. Un presidente, se possibile, eletto da un ampio raggio di forze politiche: non a caso, e bene ha fatto, proprio in queste ore, la Camera ha deciso di innalzare ai 3/5 il quorum previsto per l’elezione [del Presidente della Repubblica] da parte del Parlamento in seduta comune”.

 

Queste sono esattamente le parole che ho pronunciato al Senato in occasione della dichiarazione di voto sulla legge elettorale il 27 gennaio di quest’anno. Poco più di un anno dopo quel 18 gennaio 2014 che ha segnato, con l’incontro al Nazareno fra il presidente Berlusconi e il presidente Renzi, l’avvio di un percorso di riforme condivise; e pochi giorni prima che il presidente Mattarella, a cui vanno tutta la mia stima e fiducia, fosse eletto con modalità del tutto unilaterale e autoreferenziale da parte della maggioranza governativa, determinando di fatto l’interruzione di quel clima di condivisione dettato dal cosiddetto “Patto del Nazareno”. A questo proposito e sempre in occasione del voto al Senato sull’Italicum ho ribadito: “Poco più di un anno fa la politica italiana ha vissuto una svolta epocale. Finalmente i due leader dei maggiori partiti italiani hanno spazzato via i pregiudizi che per venti anni hanno bloccato la politica italiana”. Ecco quale era la “svolta epocale” a cui mi riferivo e che oggi viene pretestuosamente citata da esponenti dell’esecutivo. Una “svolta epocale” che Renzi ha voluto chiudere in funzione di vecchie logiche correntizie: il Primo ministro ha, infatti, preferito inseguire l’illusione di ricompattare il suo partito, ed ogni giorno di più vediamo con quali brillanti risultati, piuttosto che seguire la strada della massima condivisione di forze politiche per l’elezione della prima carica dello Stato, così come gli avrebbe imposto di fare il testo stesso delle riforme costituzionali all’esame delle Camere e quello spirito di collaborazione che le aveva rese possibili. Uno spirito di collaborazione e condivisione politica che aveva portato Forza Italia, superando anche la naturale convenienza di parte, a condividere una legge elettorale, nell’ultima versione, difficile da condividere: l’abbassamento della soglia al 3 per cento e il premio di maggioranza alla lista, piuttosto che alla coalizione, rappresentavano, infatti, due elementi in difformità dal patto e soprattutto fortemente negativi per Forza Italia, l’accettazione dei quali era subordinata alla prosecuzione di quella condivisione, fatta anche di compromessi, che aveva portato, per la prima volta,ad una grande stagione di riforme istituzionali condivise dai due schieramenti da sempre contrapposti. Mi sento di rivendicare tutt’oggi il lavoro e i risultati ottenuti in un anno di patto del Nazareno: Forza Italia ha infatti innestato nel disegno di legge costituzionale i principi cardine della già citata riforma del 2005 (superamento del bicameralismo perfetto, semplificazione del processo legislativo, modifica del Titolo V, riduzione dei Parlamentari e dei costi della politica) e a impedire soluzioni normative che, inseguendo slogan populisti (come il Senato dei Sindaci…), senza il decisivo contributo di Silvio Berlusconi e dei deputati e senatori di Forza Italia, avrebbero potuto costruire un assetto a totale danno di una parte del paese.

 

Forza Italia dunque, all’atto della rottura “calcolata” da parte del presidente Renzi, non ha potuto che sancire la fine di quel percorso nell’ambito degli organismi di partito deputati: l’Ufficio di presidenza prima e l’Assemblea congiunta dei gruppi parlamentari poi, che all’unanimità hanno deciso di interrompere la collaborazione dettata dal Patto. Restiamo una forza riformista, fermamente convinti della necessità di un serio percorso di riforme, ma fermamente contrari a una legge che, a seguito dell’abbassamento della soglia e dell’inserimento del premio alla lista, è tutta volta al rafforzamento del partito di governo e alla frammentazione delle opposizioni, ad esclusivo danno della legittima rappresentanza della maggioranza moderata del Paese, oggi all’opposizione.

 

Paolo Romani è capogruppo di Forza Italia al Senato

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