Matteo Renzi con Ferruccio de Bortoli (foto LaPresse)

Renzi e gli educati d'insuccesso

Alessandro Giuli
De Bortoli, il Corriere e il lato oscuro di un frontale con il premier. Luciano Fontana nuovo direttore in Via Solferino.

Massimo rispetto per Ferruccio de Bortoli e per la sua pettinata giaculatoria di congedo dalla direzione del Corriere della Sera. Al netto dell’elogio del giornalismo scomodo, che è una banale sciocchezza se non mi si spiega prima il concetto di scomodità in Via Solferino, gli si deve riconoscere il pregio della chiarezza e una certa dose di coraggio anche nel mostrare il petto a Matteo Renzi e ai solerti caporali del suo principato. De Bortoli se ne esce così: “Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento. Il Corriere ha appoggiato le sue riforme economiche, utili al Paese, ma ha diffidato fortemente del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche. Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum. Una legge sbagliata”. Tanto di cappello, ma tutto qui? La parola caudillo è una decorazione involontaria sul giubbotto di pelle del teppista fiorentino che s’è messo in testa di governare l’Italia sfidando la neghittosa servitù, e volontaria, dei corpi intermedi italiani nei confronti di un malinteso senso del potere, purché sia lento, vischioso e paludato. Da qui spicca il salto di qualità semantico debortoliano, con la definizione di Renzi come un “maleducato di talento” che interpreta il potere spregiando le istituzioni, senza tollerare le critiche e – ma è ancora tutto da dimostrare – i limiti costituzionali presidiati da Mattarella. Maleducato Renzi lo è, o dà l’impressione di esserlo; senza dubbio è talentuoso nella comunicazione e nel tramestio politico; non so se lo sia anche in quanto riformatore, come invece De Bortoli afferma rivendicando il sostegno offertogli dal Corsera.

 

Il punto però è questo: de Bortoli non parla a titolo personale ma rappresenta la coda  di quella che un tempo si chiamava borghesia illuminata meneghina, qualcosa a metà tra la pedagogia pre-unitaria del Politecnico e poi della Bocconi e i così detti salotti buoni del capitalismo familistico-bancario (da Raffaele Mattioli a Enrico Cuccia), mai abbastanza industriale e sempre troppo parastatale, che nel secondo Dopoguerra si sono insediati nel cuore della Mitteleuropa lombarda, con una certa idea del Vecchio continente (tendenza Altiero Spinelli) e una più che vaga inclinazione a rendere la politica permeabile al condizionamento delle élites. Oggi possiamo chiamarli per comodità gli “educati d’insuccesso”, sono gli esponenti di una borghesia ormai sfiatata che da oltre vent’anni – terminus post quem: Antonio Di Pietro, terminus ad quem: Beppe Grillo, nel mezzo: Silvio Berlusconi – si è incaricata di delegittimare a mezzo stampa la democrazia dei partiti e la cornice rappresentativa del loro sistema. Salvo poi scoprire che, a forza d’intemerate contro la casta e l’insipienza del politico, questa “rivoluzione permanente delle élite” non si è inverata con la dittatura commissaria di Mario Monti, né attraverso la prosecuzione del montismo con altri e letargici mezzi, Enrico Letta, ma ha lasciato il campo a una reazione caudillista che ha il passo veloce e jemenfoutiste di Matteo Renzi. Non un marziano della République, ma il figlio legittimo di un’altra idea modernizzatrice inaugurata da Bettino Craxi e modellata dal Cav. E ora appunto aggiornata ai tempi nostri e internettiani da un ragazzaccio di Firenze che non solo teorizza l’idolatria di un futuro raggiungibile (altrimenti basterebbe dargli del cretino fosforescente, dannunzian-non-renzianamente parlando), ma pratica la disintermediazione come sola igiene del mondo per rimediare ai disastri parrucconici. Insomma quanto di più indigesto per chi, come l’irrancidito Letta, gli rimprovera oggi di “vincere tra le macerie” senza indicare chi di quelle macerie sia principalmente responsabile, a cominciare dai suoi sensali corrieristi. 

 

Non so se abbia ragione Rino Formica quando, tenero e pensoso, dice che Renzi è “il motorino d’avviamento di una centrale atomica che lo brucerà a breve”, con “uomini di chiesa” e “borghesia impoverita” ad alimentare il rogo. So che i suoi nemici non hanno più nemmeno una brioche da sventolare in faccia al popolo eccitabile, soltanto grilli o quagliarielli.