Civati, ma dove vai?
Vaste programme. Pippo Civati esce dal Partito democratico, entra nel Gruppo misto e dice che lavorerà per creare da sinistra un’alternativa al renzismo a vocazione landiniana. Decisione naturale (è da due anni che Civati l’annunciava, su Google l’espressione “Civati lascia il Pd” viene superata di poco dall’espressione “Montezemolo scende in campo”: 213.000 risultati contro 233.000) e da un certo punto di vista persino più coerente di quei deputati del Pd che hanno votato la sfiducia non solo al premier ma anche a loro segretario. Il contesto di questo Parlamento, a guardar bene, ci dice che una scissione nel Pd era tutto sommato inevitabile, se è vero che dall’inizio della legislatura non c’è stato un solo partito che è riuscito a resistere alla forza centripeta messa in campo da un governo di grande coalizione. Prima è toccato al Pdl. Poi a Sel. Quindi al Movimento 5 stelle. A Scelta civica. Agli stessi scissionisti di Scelta civica. Persino alla Lega. E il Pd, in fondo, era l’unico partito rimasto immune da questo processo di frammentazione.
Il fatto poi che un partito di centrosinistra che punta a recuperare voti al centro provochi scissioni a sinistra non è una novità: andò così anche nel 2005 in Germania, per esempio, quando, di fronte al riformismo di Schröder, Oskar Lafontaine decise di uscire dal gruppo dell’Spd e di fondare un partito autonomo. Quel partito si chiamava Die Linke, raggiunse risultati non male (8-12 per cento) ma l’unico risultato che ottenne fu quello di contribuire alla sconfitta nel 2005 dell’Spd di Schröder. Il problema degli scissionisti alla Civati non è solo l’essere fuori dal tempo ma è quello di essere di fronte al più grande degli interrogativi dei nostalgici della sinistra: meglio perdere la vecchia identità, e vincere, o meglio perdere tutto piuttosto che perdere se stessi? A “Otto e Mezzo” da Lilli Gruber Civati lo ha detto chiaramente: meglio perdere che perdersi. Forse qualcuno seguirà Civati nella sua avventura con Landini (dubitiamo fortissiamente). Ma senza voler entrare troppo nei dettagli della questione, bisogna provare a dire le cose come stanno: il partito della divisione, a sinistra come a destra, è un partito destinato a declinare una vocazione minoritaria. E nell’èra delle vocazioni maggioritarie, declinare la vocazione minoritaria non è solo essere fuori tempo ma è un grazioso suicidio politico. In bocca al lupo.