Non restare senza Speranza, obiettivo minimo della dissidenza Pd
Roma. E’ il giorno del voto alla Camera sulla “buona scuola”, e i deputati della dissidenza pd non votante sono quaranta. Alcuni risultano assenti, altri comunque firmatari di un documento di critica al ddl (documento in cui si auspica di “proseguire” l’opera di modifica al Senato). Tra loro, naturalmente, c’è il non più capogruppo Roberto Speranza, dimessosi qualche settimana fa, ai tempi del voto sull’Italicum: il giovane parlamentare (trentasei anni, due figli, una saudade per la sua Basilicata dichiarata a ogni occasione) che il Corriere della Sera metteva nel novero dei possibili “leader della sinistra” – sinistra Pd, per ora, ma chissà – tantopiù che tutto un mondo bersaniano pare stia puntando su di lui per l’ancora lontano congresso del 2017. Speranza è giovane, dicono i fan, ma d’esperienza: dopo la gavetta nella Sinistra giovanile, e dopo essere diventato responsabile Pd per gli Enti locali, è stato reclutato da Pierluigi Bersani, nel settembre del 2012, assieme all’allora bersaniana Alessandra Moretti e a Tommaso Giuntella, per coordinare la campagna per le primarie (quelle vinte da Bersani e non da Renzi; quelle che però in qualche modo, paradossalmente, segnarono per Bersani l’inizio del declino politico). Speranza era quello che, nelle foto della vittoria bersaniana, appariva sorridente, ma un passo indietro. Alla ribalta, ma riluttante.
“Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori”, scriveva l’ex capogruppo sul suo sito, citando “Il barone rampante” di Italo Calvino e raccontandosi come uno “che non ha mai voluto alzare muri ma, al contrario, abbatterli o scavalcarli”. Speranza è infatti quello che, dopo le elezioni del 2013, nel momento delle grandi aspettive (e illusioni) bersaniane sullo scouting dei possibili grillini dialoganti, restava fermamente ma discretamente ottimista, oltreché politicamente fedele al “riformismo laburista britannico”. L’incarico di capogruppo, che Speranza ha sempre definito “inaspettato”, l’ha fatto però anche plasticamente precipitare nell’agone, fino alle estreme conseguenze: all’inizio del 2014, nella sala stampa di Montecitorio, nei giorni della “ghigliottina” sul decreto Imu-Bankitalia, lo schivo capogruppo che sognava di importare a Roma il londinese fair play si è trovato a un certo punto sul limitare della rissa con il Cinque Stelle Alessandro Di Battista in sala stampa – e insomma Di Battista, vedendo Speranza in procinto di farsi intervistare dalle tv, si metteva in mezzo per evitare di far propagandare, a suo dire, leggi votate “contro il popolo”. Speranza resisteva, Di Battista insisteva. Separati dai colleghi sulla soglia dello scontro fisico, i due si lanciavano accuse a distanza. “Tagliati lo stipendio”, diceva Di Battista; “siete dei fascisti”, diceva Speranza, con l’aria sofferente di chi ci mette la faccia ma vorrebbe in quel momento mimetizzarsi con il muro.
[**Video_box_2**]Lontanissimo per stile (e ora contenuti) dal premier e segretario Pd Matteo Renzi, tuttavia Speranza a un certo punto s’è fatto pontiere, uomo della mediazione tra dissidenti e governo. Era sì bersaniano, e anche dalemiano, ma pareva più sulla linea di coloro che stanno in mezzo, accoccolati nelle sfumature. Lontanissimo all’apparenza anche da un’attitudine leaderistica, Speranza restava defilato, dedito all’arte della manutenzione dei rapporti tra “compagni” che si combattono l’uno con l’altro. E se qualcuno, un anno fa, l’avesse annoverato tra i possibili futuri capi della sinistra interna, molti avrebbero trasecolato: lui? Così pacato? Così professorale? Eppure adesso, nel gioco della “caccia al leader”, l’ex capogruppo pd, a dispetto dell’aria mite, è diventato improvvisamente “papabile” per un ruolo di sfondamento (anche se non presso coloro che, a ogni crisi pd, tornano a sognare la discesa in campo del “papa straniero” Roberto Saviano). Non restare senza Speranza, questo si pensa forse nella sinistra pd che non vuole buttarsi all’esterno (verso Maurizio Landini o verso Pippo Civati) e confida magari nella metamorfosi mediatica dell’ex capogruppo ammutinato, finora non proprio “mattatore” su piazze e teleschermi.
L'editoriale dell'elefantino