Contro l'invasione deI Tar
Roma. “Il problema è il perimetro, il problema è la discrezionalità”. Sono le tredici e trenta, siamo a Roma, piazza Indipendenza, civico numero sei, sede del Consiglio superiore della magistratura, e il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, ci riceve al primo piano di Palazzo dei Marescialli per provare a mettere a fuoco con il Foglio quali saranno le conseguenze della sentenza con cui il Tar del Lazio, giovedì scorso, ha annullato, per la gioia dei gazzettieri delle procure, la nomina di Francesco Lo Voi a procuratore di Palermo. La storia la conoscete tutti: due giorni fa il Tar ha accolto i ricorsi proposti dai procuratori di Caltanissetta Sergio Lari e di Messina Guido Lo Forte, condannato il Csm a pagare le spese di giudizio per 3.000 euro complessivi, e ha ritenuto che il Csm avesse “l’onere della motivazione rafforzata” riguardo la scelta di Francesco Lo Voi a capo della procura di Palermo. La “delibera di nomina – ha scritto il Tar – non supera il vaglio di legittimità apparendo la motivazione del giudizio di prevalenza di Lo Voi non coerente rispetto agli indici di valutazione del parametro attitudinale”. Il problema dunque è più che evidente: fino a dove può arrivare il potere di un tribunale amministrativo? Legnini dice che il Csm ricorrerà al Consiglio di stato, ovviamente, ma non lo farà solo nella forma dell’atto dovuto lo farà per rivendicare anche un principio preciso che Legnini sintetizza così: “Io ho rispetto per le decisioni del Tar, ci mancherebbe, ma credo che in questa fase storica sia importante che la giurisdizione presti particolare attenzione a un principio che credo sia vitale per tutti: salvaguardare le prerogative costituzionali di ciascuno e quindi il cuore del corretto esercizio della discrezionalità. E, a proposito di discrezionalità, una scelta assunta con ampia motivazione e con un voto largamente maggioritario, in modo trasparente da un organo come il Csm, va valutata sulla base delle prerogative e dei valori costituzionali. La scelta di un procuratore non può essere valutata come un atto amministrativo qualunque, e non lo dico io ma lo dice la Costituzione. Per questo abbiamo il dovere di difendere la scelta davanti al Consiglio di stato”.
Il tema del regime del Tar, se così si può definire, è diventato un problema ricorrente non solo per il Csm ma anche per il mondo della politica e dell’imprenditoria. E per questo è comprensibile che in molti oggi (non solo a Palazzo dei Marescialli) si augurino che il governo Renzi tiri fuori dal cassetto quella norma già inserita tempo fa in un decreto legge che delimitava le competenze del Tar, modificando il sistema per i ricorsi e abolendo la sentenza di sospensiva, per evitare di dare a questo soggetto giuridico un eccesso di potere. Succo del ragionamento di Legnini: il principio della separazione dei poteri di Montesquieu non vale solo tra diversi organi costituzionali, ma vale anche all’interno degli stessi organi costituzionali. Il Foglio prende spunto dall’argomento per ricordare a Legnini che a Palermo c’è un altro magistrato che ha scelto di ricorrere al Tar del Lazio per veder affermato, dice lui, “un suo diritto”. Quel magistrato, erede di Antonio Ingroia a Palermo, è Antonino Di Matteo, che una volta escluso dalla nomina nell’Antimafia anche lui – tac – ha fatto ricorso al Tar.
[**Video_box_2**]“Il dottor Di Matteo – dice Legnini – ha tutto il diritto di ricorrere ma anche qui la scelta, del Csm, è frutto di un’ampia e dettagliata motivazione, peraltro assunta con l’unanimità dei membri togati del Consiglio superiore”. In questa fase della vita del Consiglio superiore della magistratura, l’unanimità dei membri togati del Csm è un tema che merita di essere approfondito, perché è ormai un fenomeno usuale che siano i membri laici, ovvero i non magistrati, ad avere spesso meno difficoltà dei togati a mettersi d’accordo tra loro e a prendere le decisioni importanti: è successo sia per le nomine di Palermo sia per quelle di Bari. “E’ vero”, riconosce Legnini, “spesso, per le nomine, le scelte dei membri laici sono state decisive e credo che questo sia un fatto importante per il Csm. In questa fase quella componente ha un ruolo importante, di vero equilibrio e ciò aiuta a inverare l’intuizione dei costituenti nella composizione del Consiglio”. Il passaggio successivo a questo ragionamento presupporrebbe un tentativo del Csm di dare meno peso al ruolo delle correnti anche nei suoi organi di rappresentanza e Legnini sembra essere d’accordo: “Stiamo già lavorando all’autoriforma del Consiglio e a giugno daremo un forte impulso a partire dalla riforma del testo unico per gli incarichi direttivi e del regolamento interno, nel segno dell’efficienza, della trasparenza e dell’autorevolezza del Consiglio e dell’ordine giudiziario”. Il Foglio ricorda che il modo migliore, forse l’unico, per evitare che le correnti possano avere un peso nel Csm è la modalità del sorteggio. Legnini dice di non essere d’accordo, ma altri sistemi elettorali per attenuare il peso delle correnti sono possibili. A proposito dell’espressione dei pareri, Legnini rivendica tale prerogativa ma essa, ragiona il vicepresidente, deve essere esercitata in modo appropriato attenendosi alle ricadute, all’impatto delle riforme e non già alle diverse opzioni politiche riservate al Parlamento. “Il principio della separazione dei poteri deve valere per tutti. La magistratura e il suo autogoverno devono difendere fino in fondo i princìpi dell’autonomia e dell’indipendenza ma a ciò deve corrispondere il rispetto per le prerogative degli altri poteri”.
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