Così il web a cinque stelle è diventato un cimitero di simboli caduti
Roma. Chissà se un giorno il crepuscolo degli idoli e dei simboli ex-post-neo grillini sorprenderà con le sue ombre lunghe anche Carlin Petrini, emblema anti-Expo e anti-sistema alimentare che in questi giorni campeggia da eroe sui blog di area Casaleggio e sulle bacheche a cinque stelle dell’Italia tutta. E chissà se a Petrini verrà un giorno riservato, sul blog del comico-ex comico Beppe, il titolo che ha colpito due giorni fa il governatore siciliano Rosario Crocetta (“se lo conosci lo fischi”), titolo che arriva, sì, dopo quasi due anni di critiche m5s al governatore e “sfiducia” proclamata a intermittenza, ma anche dopo intermittenti periodi in cui i Cinque stelle non lo fischiavano, Crocetta, e anzi in fondo in fondo caro se lo tenevano. Perché Crocetta, anche se non un idolo, è stato a un certo punto il simbolo del “modello Sicilia” (grillini che governano con governanti non del tutto indigesti al grillismo), uno strano oggetto di odio-amore e amore-odio presso le platee a cinque stelle. La cosiddetta “base”, infatti, in tre anni l’ha osservato, il governatore siciliano che si era presentato come “anti-partitico” (è bastata la parola), per poi scaricarlo e di nuovo riprenderlo, mentre gli eletti del M5s prima lo sfidavano, Crocetta, ma poi, vedendo che cedeva su alcuni temi tipici del populismo da “pancia del web”, quasi quasi lo riabilitavano. “In Sicilia si dialoga tra M5s e Crocetta”, questo si disse in tempi che oggi paiono lontanissimi (poco più di due anni fa), mentre Pier Luigi Bersani tribolava a Roma a forza di “scouting”. E la base a cinque stelle meno oltranzista applaudiva alle intese più o meno cordiali con Crocetta, in nome del promesso taglio agli stipendi e agli sprechi, e ci vedeva un emblema del “governante che ci segue sulla nostra strada”, tanto da criticare gli ortodossi, e Grillo stesso, che intanto già gridavano “anche Crocetta è della casta!”. “Ma come”, trasecolavano nei commenti gli elettori o simpatizzanti più realisti del re, quelli convinti che fosse un bene parlare con il governatore, simbolo appunto di un “nuovo” visto come “migliore” a scatola chiusa.
Cavalcare la novità che si presenta come “anti” (anticasta, antipartito, anti banche, anti global, per lo più) anche senza sapere che cosa si maneggia, questa era (è) l’idea. E infatti Grillo, a un certo punto, aveva anche abbassato i toni, in Sicilia, e dopo le traversate superomiste dello Stretto e le corse sotto l’Etna aveva tenuto un profilo meno drasticamente sfasciacarrozze. C’era chi allora pronosticava “alleanze rivoluzionarie” e chi pensava di esportare il modello-Sicilia a Roma. Ma appena il Crocetta ammansito si rivelava, con tutti i difetti anche evidenti ai non-grillini (ma per altri motivi), i cinque stelle di Sicilia iniziavano a pensare allo “sfiducia day” contro il governatore, ampliando l’opera di demolizione del governatore e dei tempi d’oro: tempi di isolazionismo meno alla lettera, e dunque meno gramo per le sorti del movimento. E oggi il “no” a Crocetta è lo specchio rovesciato del “sì” al “nuovo” che doveva accompagnare il trionfo del Quarto Stato a cinque stelle, quello che plasticamente avanzava nell’autunno 2012, con gli eletti grillini all’Ars scortati dai cittadini per le vie di Palermo: era la purezza peripatetica sognata dai neo-consiglieri regionali e dagli elettori che s’immaginavano di illuminare metaforicamente i palazzi della Regione d’immensa forza anti-casta (e trasparenza e onestà e bla bla). E però ben presto il modello Sicilia naufragava, con tanti saluti e tanti insulti, intanto, a quello che era stato un piccolo mito isolano del M5s: Antonio Venturino, l’eletto ex grillino che s’intendeva di teatro shakespeariano ma forse non al punto da valutare le ire shakespeariane di Grillo sulla rendicontazione della pizza margherita mangiata il giorno precedente e sulle auto blu e su tutti gli scontrini sospetti che dio mandava on-line. E ancora non si era arrivati a Roma, là dove il crepuscolo degli idoli, dei mezzi-idoli, dei simboli e persino degli strumenti usati per farsi strada si è fatto seriale.
Proprio a Roma, infatti, è diventata via via abitudine la prassi a cinque stelle di sventolare un vessillo senza sapere fino in fondo che cosa si sventola: capitò dunque, nei mesi convulsi post-elezioni politiche 2013, che il professore benecomunista Stefano Rodotà, speranza comune di grillini e reduci da vari mondi rosso-intellò, si tramutasse in un batter d’occhio in unico possibile papa straniero per qualsiasi carica, dalla presidenza del Consiglio alla presidenza della Repubblica, con attimi di vero panico al momento dell’affossamento della candidatura Prodi da parte dei centouno misteriosi affossatori.
Uno dei nostri, anzi no: miracolato
“Rodotà-tà-tà” era il grido nella piazza e nel budello antistante il Parlamento. “Rodotà senza se e senza ma” era lo slogan, anche condito da falso allarme sulla “marcia-marcetta” su Roma prima annunciata e poi smentita dal comico. Ma che cosa fosse davvero politicamente Rodotà – e che cosa pensasse del “dialogo” con il Pd e con tutti i mondi benedetti da MicroMega – non volevano neanche saperlo, allora, gli attivisti a cinque stelle assiepati davanti a Montecitorio con gran rabbia e gran fomento. Finì male, l’infatuazione: il prof. Rodotà, idolo delle Quirinarie online, fu demolito proprio online da Grillo al primo soffio di dubbio sui “no” di Grillo al dialogo con Pd: “Ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dov’era stato congelato dai suoi”, fu la sentenza.
[**Video_box_2**]Non meglio è andata agli intellettuali firmatari di appelli in favore di una intesa cordiale Pd-M5s, gente che piaceva all’elettorato grillino, da Salvatore Settis a Barbara Spinelli a Tomaso Montanari a Remo Bodei: Grillo, dopo averli illusi, li gelava, e la “base” sul web seguiva, rinnegando all’ingrosso la precedente simpatia. “Che noia questi intellettuali che rispondono al Pdmenoelle in fila per sei col resto di due”, era stato l’epitaffio messo sull’amicizia scricchiolante. Per non dire di Milena Gabanelli, prima arrivata nelle suddette Quirinarie, non nominata ufficialmente candidabile per suo diniego e poi scaricata per un servizio di “Report” un po’ dubbioso su alcune procedure interne al Movimento. Gabanelli “non è completamente libera”, era stata la parola fine sulla storia d’amore (non corrisposto?) tra i cinque stelle e la conduttrice. Anche Gustavo Zagrebelsky, mito grillino di legalità e probità, nome da governo o presidenza della Repubblica secondo il pensiero unico del web a cinque stelle, è diventato improvvisamente scaricabile, al grido di “amico di Carlo De Benedetti!”, per aver detto che l’ineleggibilità di Silvio Berlusconi era da considerarsi giuridicamente una chimera. E se presso le impressionabili platee grilline, inizialmente, era sembrata una dea anche Laura Boldrini, portatrice di valori equi e solidali e applaudita anche se non votata per la presidenza della Camera, poi, a inizio 2014, in tempi di applicazione della “ghigliottina” per fermare l’ostruzionismo sul decreto Imu-Bankitalia, Grillo aveva sparato la famosa scomunica: “Miracolata” (pure lei, non dalla rete ma da Nichi Vendola, stavolta) e “inadeguata”. Più dura è stata defenestrare dagli animi infatuati a cinque stelle il presidente del Senato Piero Grasso, ex procuratore antimafia e dunque nome “adatto” a prescindere. Alcuni neoeletti del M5s avrebbero addirittura voluto votarlo, Grasso, come presidente del Senato, votarlo al posto di uno di loro, motivo per cui nacquero i primi psicodrammi da unanimità assembleare tradita anche soltanto col pensiero. E però, qualche mese fa, Grasso è stato declassato per via di quelli che agli occhi dei cinque stelle parevano traccheggiamenti sui vitalizi agli ex parlamentari condannati per reati gravi: Grasso vuole revocare solo a parole, è stato il sospetto e l’alibi per la fine di un amore effimero come quello per gli altri idoli esaltati e poi buttati giù dal piedistallo causa volubilità da web.