Italicum? No, ammucchiatellum
Roma. Il diavolo, ovvio, è nei dettagli, e nel caso dell’Italicum in un dettaglio di tre centimetri. Tanto misura il diametro dei simboli elettorali secondo la nuova legge voluta da Matteo Renzi, fresca di firma del Quirinale e pubblicata l’otto maggio sulla Gazzetta Ufficiale. A dispetto della sua ratio che ha nella difesa del bipolarismo o perfino nel bipartitismo il principale obiettivo, che fa leva sulla vocazione maggioritaria e punta al superamento della frammentazione attraverso il premio alla lista e il doppio turno, l’Italicum consente infatti di inserire, al primo turno, nel simbolo di una lista, i simboli dei partiti che vogliano farne parte. Purché, naturalmente, compatibili con la misura di tre centimetri. Rovesciando il punto di vista significa che partiti più piccoli potrebbero scegliere la strada di un’alleanza elettorale senza essere obbligati a rinunciare alla propria identità, al loro nome e al loro simbolo. Roberto D’Alimonte, il politologo padre dell’Italicum, concede al Foglio la definizione di “coalizioni surrettizie”.
Cacciate dalla porta, le coalizioni potrebbero insomma rientrare dalla finestra. L’interesse per l’opzione minisimboli è soprattutto nel centrodestra, l’area più frammentata e in crisi. Ncd o altre eventuali costole di Forza Italia potrebbero beneficiare di un accordo elettorale in grado di preservare la propria dimensione di partito. La soglia del 3 per cento, per come è costruita la legge elettorale, non consente grandi numeri, in termini di seggi, corrisponde al massimo a 12-18 deputati sotto il limite dei venti obbligatori per creare alla Camera un gruppo parlamentare. Potrebbe rivelarsi più conveniente insomma per le piccole formazioni contrattare venti seggi per esempio con Berlusconi e poi sganciarsi in Parlamento formando un gruppo separato in grado di fare accordi anche con un eventuale partito della nazione. Aspetti ben chiari tanto al centrodestra – Berlusconi, l’altroieri, ha dato una semibenedizione postuma all’Italicum – quanto al Pd, renziano e non. E magari anche a tutte le formazioni incerte sui gradi di separazione dalla soglia del tre per cento. In fondo, tenere aperte più opzioni si può sempre rivelare una formula vantaggiosa. Un elemento di sistema, quello della “coalizione surrettizia”, sfuggito ai cronisti perché non si desume da ciò che è scritto nel testo della legge, ma in ciò che non è scritto, ovvero il “divieto” di inserire più simboli nei tre centimetri regolamentari.
[**Video_box_2**]Un elemento di sistema ben presente invece ai politologi riuniti la scorsa settimana dall’Università di Cagliari in un convegno sulla “fine dei partiti tradizionali e le conseguenze sulla democrazia”, dove Paolo Segatti, professore di Sociologia politica dell’Università di Milano ed ex presidente di Itanes, interpellava su questa sfumatura retrò proprio D’Alimonte: “Ma c’è la questione dei tre centimetri… mi confermi?”, osservava in un intervento riflessivo rispetto agli effetti dell’Italicum. Rafforzativi del bipolarismo o al contrario occasione per risvegliare mai sopite tentazioni proporzionaliste? “Sì, ma non presentare una lista unica con un unico simbolo rivela una debolezza politica, sono scelte che si pagano”, obietta il costituzionalista Pd Stefano Ceccanti, “senza contare che graficamente stiamo parlando di simboli minuscoli… si vedono male”. Eppure, guarda caso, Gaetano Quagliariello esperto del Nuovo centrodestra in materia elettorale, già membro dei vari comitati di saggi voluti all’inizio della legislatura dall’ex presidente Giorgio Napolitano, è informatissimo sulla questione dei tre centimetri: “Mi pare scontato che ci sia la possibilità di inserire più simboli nella stessa circonferenza, è stato sempre così, ci siamo dimenticati le cosiddette ‘biciclette’, i due simboli affiancati?”, dice al Foglio. E aggiunge che il partito di Alfano ne ha già tenuto conto anche in questa tornata, presentando “sette simboli diversi per le sette regioni”. E’ ancora Ceccanti, del resto, a far notare che per evitare la torsione proporzionalista ci sarebbe solo una ricetta: modificare i regolamenti parlamentari per rendere più difficile la formazione di gruppi parlamentari e ostacolare le troppe trasformistiche trasmigrazioni. L’Italicum sulla carta non le contiene. Ma per ora nessuno se ne sta occupando: ci sono i collegi da ridisegnare e anche se fino al 2016 l’Italicum non è disponibile, il ministro dell’Interno Alfano è pronto a insediare la commissione incaricata.