Con chi farà le riforme Renzi?
Roma. Nei prossimi giorni sul Parlamento precipitano niente meno che le unioni civili, la riforma della scuola, quella della Rai e, mamma mia, anche quella costituzionale del Senato. E la strada è complicata, i tempi sempre più infidi, le gerarchie parlamentari sempre più instabili, gli interlocutori inaffidabili. Non di rado le porte alle quali il governo e la maggioranza bussano si rivelano finte, c’è scritto Forza Italia ma dentro c’è Raffaele Fitto, la targhetta dice Ncd ma Alfano lì non c’è più, le porte danno su uno sgabuzzino, su un partito esploso, sul vuoto. “Prendete Romani e Brunetta”, mormora Ivan Scalfarotto, “qua certe volte non si mettono d’accordo tra loro nemmeno i capigruppo dello stesso partito”, dice lui, che è il sottosegretario alle Riforme, il vice di Maria Elena Boschi. E insomma è così, con rotolìo d’occhi, che si para di fronte al governo questo Parlamento delle scissioni, la legislatura che era cominciata con quattro gruppi parlamentari mentre oggi sono otto, e senza considerare le bande, i corsari, i sabotatori, i battitori liberi, i signori della guerra, o la massa informe del Gruppo misto, che ha raddoppiato i suoi iscritti.
Montecitorio e Palazzo Madama sembrano l’Italia del Cinquecento: ora un drappello di cavalieri civatiani appare in cresta a una collina, li guida Corradino Mineo che sembra Giovanni Delle Bande Nere, ora un plotone di fanti bersaniani attraversa un fiume, ora una squadra di arcieri fittiani lascia le tende di Forza Italia. Nuvole e nuvolette di polvere brunettiana si levano qua e là all’orizzonte della Camera, fuochi di bivacchi verdiniani punteggiano la notte del Senato. Una tromba cuperliana suona al di là di un poggio, e in lontananza rulla a tratti il tamburo di Roberto Speranza… “Diciamo che ogni settimana si produce un caleidoscopio inebriante di posizioni”, ride Giorgio Tonini, che è vicecapogruppo del Pd in Senato e dunque è uno di quelli che deve tenere i rapporti con gli altri gruppi parlamentari (e con il suo). E lo deve fare con millimetrica precisione, “perché approvare la riforma del Senato significa avere un’ampia maggioranza”, e non approvarla significa far cadere il governo.
Ma la verità è che non si sa più nemmeno bene con chi parlare. E quello del mediatore istituzionale, del capogruppo di maggioranza e del ministro delle Riforme, è ormai un genere di vita tutto impostato sul calcolo dei minuti, tanto di conversazione, tanto di occhiate, tanto di stretta di mano più o meno allusiva: due giorni con il caporione più difficile e impegnativo (mettiamo Brunetta), una serata con quelli di minor prestigio (mettiamo Capezzone), poi una carezza agli imbizzarriti (mettiamo Civati). E il tutto verrà eseguito con calma apparente, finto distacco e vero fremito.
[**Video_box_2**]Ma il gioco è da mal di testa. “Parli con uno e però in realtà non sai nemmeno se c’è più il suo partito”, dice Tonini. Anche quello di Alfano si sta sfasciando, si esprime in cacofonia: De Girolamo da una parte, Lorenzin dall’altra, Cicchitto di qua e Quagliariello di là, uno tira a destra, l’altro a sinistra. E allora gli intermediari di Renzi devono sempre decantare il prodotto, cioè la riforma, con tutti gli annessi e connessi (comprese le contropartite, le modifiche, i favori allusivi), fino al cedimento da capogiro del possibile cliente. “Ma chiudi un accordo con uno, sembra fatta, e trovi il disaccordo dell’altro”, dice Scalfarotto. Persino la minoranza del Pd è inintelligibile. “Se parli con Gotor, che è senatore, lui ti dice una cosa. Poi però parli con D’Attorre, che è deputato, e lui ti dice l’esatto contrario”. E dire che fanno parte della stessa corrente. “Facciamo lo slalom”, spiega Tonini. “Ora vediamo questo nuovo gruppo parlamentare dei fittiani”. E’ l’ottavo nano del Parlamento italiano, sta per nascere. “Dicono che il capogruppo sarà Cinzia Bonfrisco. E’ una brava, ci si può parlare”.
[**Video_box_2**]E così staffette, messaggeri, aiutanti al galoppo vanno da un accampamento all’altro recando dispacci, ma non c’è una sola postazione fissa. Ogni tanto si scava una trincea, che l’indomani però è deserta. “Guardi, nemmeno quelli che dovrebbero essere gli amici di Brunetta sono d’accordo con Brunetta”, spiega Scalfarotto, e insomma a volte non si capisce più niente, è come un labirinto di specchi deformanti e grotteschi. Ma se la riforma del Senato non passa, per il governo è finita. “Contiamo su un sentimento non nobilissimo, ma molto diffuso”, scandisce Tonini, con tono definitivo. Quale? “La paura delle elezioni”. E’ come il cemento.