Ettore Rosato, l'ex dc che sussurra ai cavilli e fa il body guard renziano
Roma. Tra partito liquido e partito solido, tra Pd futuribile e Pd passatista, tra dem convinti e dem riluttanti c’è la distanza di un uomo: Ettore Rosato. Rosato il vicecapogruppo pd alla Camera e capogruppo in pectore dopo le dimissioni di Roberto Speranza, Rosato il triestino quarantacinquenne di studi ragionieristici e di ascendenze prima democristiane poi illiane (Riccardo Illy), Rosato l’ex sottosegretario all’Interno nel governo Prodi II nonché presenza mediatica riconoscibile per la cravatta bluette (ai programmi della sera come a quelli della mattina) e il sorriso obliquo da orso Yoghi che in realtà è un’illusione ottica: Ettore Rosato non è bonario. Anzi. Ettore Rosato è colui che, da dieci giorni, nelle concitate ore pre e post-elettorali, che fosse sugli schermi di “Agorà”, di “Bersaglio mobile” o di “Porta a Porta”, davanti al Parlamento o al bar, più d’ogni altro ha detto frasi di renzismo lapidario, ma con l’aria cupamente imperturbabile di un Nico Stumpo, l’indimenticata muraglia umana della gestione Bersani, l’uomo-organizzazione delle primarie 2012, il politico-bodyguard divenuto virale, sul web, grazie alla frase “se uno arriva e dice ‘scusatemi, ma ero a New York’, ecco, questo signore deve fornirci almeno i biglietti dell’aereo”. Si era nel preludio della vittoria bersaniana poi avvelenata dai tempi, nei giorni grami in cui la questione “si può votare o no al secondo turno delle primarie?” riempiva pagine e pagine di giornale. E se Stumpo, funzionario di vecchia scuola (Pci) e di imponente stazza, detto Stumpo-truppen dai Radicali ai tempi del suo “no” alla candidatura-Pannella alle primarie 2007, era il custode anche fisicamente invalicabile delle “regole”, Rosato, che è di vecchia scuola pure lui (ma Dc), da renziano di area Franceschini si erge senza strepito a difesa della versione di maggioranza (frase tipica, anche su Twitter: “Siamo l’Italia che cambia, l’Italia che sa crescere”, ora accompagnata da “cinque a due, questa è l’Italia che riparte”).
Gli dicono di tutto e gli chiedono di tutto, a Rosato: Rosato, scusi, ma non vi imbarazza questo pasticcio Bindi-De Luca? (così ieri Repubblica); Rosato, scusi, siete arrabbiati con la minoranza interna? (così ieri il Giorno-Resto del Carlino-La Nazione); Rosato, scusi, ma che cosa ci dice dei Cinque stelle? (così ieri praticamente tutti). E Rosato, paziente, risponde, conduttore per conduttore, cronista per cronista: “L’affermazione dei Cinque stelle è in linea con quelle precedenti” ma è un “voto ininfluente”; “non c’è nessuna emorragia dell’ala sinistra” e il Pd “ne uscirà rafforzato”; “Vincenzo De Luca ha ragione, ma ora farebbe meglio a guardare avanti”; “i dissidenti fanno solo demagogia da piazza” e vogliono la “de-responsabilizzazione del partito”, fino alla spericolatezza di un “non c’è nessun crollo dei consensi”. Perché Rosato, instancabile, da giorni ripete che “sono le liste dei presidenti” a drogare al ribasso i risultati, solo che il giorno dopo c’è sempre qualcuno che, chiedendogli conto della “logica dei Cofferati, dei Pastorino e dei Civati”, en passant torna sulle percentuali: “Guardi che il Pd è tornato al perimetro del 25 per cento”. “Salvate il soldato Rosato”, verrebbe da pensare. Errore: il cattolico Rosato, con l’allure sconsolata del “buon padre di famiglia” (politicamente e nella vita: sposato con quattro figli), è lì per quello. Ed è uno che l’ha sperimentata presto, da giovane esponente locale della Dc travolta da Tangentopoli, la scomodità dell’essere l’uomo che sussurra, per così dire, ai cavilli: e le vittorie che non sono vittorie, e le sconfitte che non sono sconfitte, e la vicenda controversa che a ben vedere è semplice, e la percentuale che va letta così e non cosà. Che cosa vuoi che siano, per lui, la querelle Bindi-De Luca e il tormento di Stefano Fassina? Rosato, come un tempo Stumpo, quando cadono calcinacci non vacilla. E il mezzo-sorriso da Yoghi non s’increspa, sul teleschermo, nel pronunciare la formula magica del “no pasaran”: “Quando la maggioranza assume una decisione, bisogna rispettarla”.