Cosa c'è dietro il divorzio tra Pistelli e il suo ex portaborse Matteo Renzi
"Lapo punto e a capo”. Pistelli, con sei anni di ritardo, ha cambiato verso davvero. Lo aveva già promesso nel 2009, quando lo slogan di Lapo-il-predestinato-sindaco annunciava, a Firenze, totale discontinuità rispetto a Domenici. Soltanto che sulla strada delle primarie incappò nel più brillante dei suoi allievi, un certo Matteo Renzi. E i motivi della radicale svolta dell’ormai ex viceministro degli Esteri, che ieri ha annunciato l’addio a Farnesina e Camera per diventare senior vice president di Eni, sono da ricercare dal punto di vista psicologico anche in questo rapporto di amore-odio con il suo ex portaborse, oggi premier che non lo ha promosso ministro. Undici gli anni di differenza tra i due, una generazione: Pistelli nato e cresciuto nella Dc, mentre Renzi i cocci della Dc li ha solo dovuti raccogliere, rimettendoli insieme alla sua maniera dal trampolino della Margherita. Potrebbe sembrare solo una delle tante storie leonardiane, in cui “Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro”, ma il rapporto tra i due è qualcosa di assai più complesso. Perché, in questo caso, l’allievo non ha mai scaricato il maestro, anche dopo averlo doppiato: i due, nonostante gli strappi laceranti, sono sempre rimasti in contatto, perché quella tensione è sempre servita a entrambi come stimolo. Una competizione continua. Ma quali sono, oltre alla narrazione del “a 51 anni si può cambiare vita”, i reali motivi che hanno contribuito all’addio alla politica di Pistelli? Vale la pena approfondirli.
Lapo Pistelli – figlio di Nicola, leader storico della sinistra Dc morto in un incidente stradale a soli 35 anni – dopo le esperienze in Consiglio comunale e da assessore a Palazzo Vecchio, cresce tra Camera, Europarlamento e poi di nuovo a Roma. Il predestinato, dicevamo. Dopo dieci anni di discussa amministrazione Domenici, va da sé che nel 2009 Lapo-il-predestinato (deputato fiorentino eletto nelle Marche) sia il successore naturale, su indicazione del partito come avvenuto fino ad allora. Ma il vento è cambiato, e l’allievo Renzi entra come un elefante in una cristalleria. E’ la prima rupture, quella chiave. Il futuro premier, invece che “Lapo punto e a capo”, sceglie “Facce nuove a Palazzo Vecchio” e ripete all’ossessione: “Se perdo le primarie torno a lavorare”. Stravince il secondo: è l’inizio della rivoluzione. Per il maestro la delusione è così cocente che lascia la sua casa sulle colline e si trasferisce a Roma con tutta la famiglia. Tra Renzi e Pistelli sono almeno due anni di silenzio totale. Il deputato (di sponda veltroniana), carattere difficile ma politico estremamente preparato, nel frattempo consolida i suoi rapporti con Stati Uniti e medioriente. La sua autorevolezza è riconosciuta da tutti, ma Pistelli non è mai riuscito a trasformare questo patrimonio in consenso personale, a mettere voti in saccoccia insomma, disciplina in cui il l’allievo Renzi è maestro.
[**Video_box_2**]Nel frattempo il Pd non vince le elezioni, Enrico Letta diventa premier e Pistelli viene nominato viceministro degli Esteri. Meno di un anno dopo Renzi rifà irruzione (stavolta la cristalleria è quella di Palazzo Chigi), detronizza l’amico Enrico, ma Pistelli rimane al suo posto. Ben saldo, perché il neo premier ha un gran bisogno dell’esperienza e della bussola del maestro. Le cose vanno bene per qualche mese, poi è di nuovo rupture, quella finale. Il ministro degli Esteri Federica Mogherini vola in Europa come lady Pesc e per Lapo-il-predestinato si spalancano le porte della Farnesina. Una promozione scontata, soprattutto per l’ottimo lavoro tra Africa e Medioriente. Ma arriva una doccia scozzese, perché Renzi spariglia e agli Esteri arriva Paolo Gentiloni. Quella del premier è una decisione lucida, di chi sa che nel disegno del governo renziano mettere al vertice una personalità così forte come Pistelli è rischioso, soprattutto per l’allievo che ha superato lo maestro.
L’amarezza del viceministro è palese: pochi mesi dopo, e alla prima ghiotta occasione, il momento è arrivato. E la storia di Pistelli ci dice molto anche su un tema che rischia di essere cruciale nel futuro del renzismo: fino a quando riuscirà a trattenere nella sua sfera politica, i politici non perfettamente allineati con il pensiero renziano?