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Facciamo da soli”. E’ la risposta di Matteo Renzi di fronte al “no” scartavetrato dalla Francia sulla linea di confine di Ventimiglia. “Facciamo da soli”, è il dettato della storia, la realtà che s’impone sui desideri, il fatto che mette all’angolo l’Utopia. E’ la politica in tutta la sua bellezza, forza, debolezza, grazia e brutalità. E’ il racconto della contemporaneità, la biografia dell’Europa in cerca d’autore.
Flashback. Correva l’anno 2014, settembre, sembrava il tempo di migrare verso una nuova stagione politica. Eccoli, nella foto d’epoca: Achim Post, Pedro Sánchez, Manuel Valls, Diederik Samson e Matteo Renzi. Jeans e camicia bianca, il casual come uniforme dell’avvenire, lo sguardo verso il futuro. Radioso. Le cronache dei giornali li celebravano a bordo del treno inarrestabile del progresso, in carrozza, un asse inossidabile contro le destre, valorosi moschettieri di un inedito romanzo di Alexandre Dumas, “tutti per uno, uno per tutti”.
E’ il 7 settembre, Festa dell’Unità di Bologna, Matteo Renzi lancia il “patto del tortellino”. La sinistra europea è là sul palco, il candore annebbia il cervello dei cronisti, le signore fanno brillare i lucciconi nell’iride, il Corriere della Sera – ineffabile – informa le masse che “gli occhi delle attiviste dem sono per il bel Sánchez”, il Messaggero non è da meno e spiega che “sono tutte pazze per Pedro, el guapo” e chiaramente “è la risposta dei cugini europei alla nostra acclamatissima Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, occhi azzurri e mille fan”. Wired, bibbia della rete, certificatore dell’hi-tech, sismografo dei trend, si impegna a dare un senso filosofico al lino e al cotone perché “quello della camicia bianca sembra essere un espediente che fa parte di un progetto molto più ampio: Renzi sta cercando di svernare l’immagine del Partito democratico, di farlo diventare un po’ più figo, seguendo l’esempio del presidente americano Barack Obama”. Occhio, in quella foto c’è un’assenza, il fatto non sfugge alla Stampa che nota come “tale bombastica manifestazione di prorompente mascolinità include a pieno titolo anche il greco Tsipras”. E la politica? Arriverà, l’importante, ora, è la rappresentazione, il teatro, la fiction. Beautiful. E poi tranquilli, perché c’è l’asse, il patto, il programma, il tortellino, cribbio!
Dopo nove mesi, “facciamo da soli”. Eccolo, il parto politico. L’asse non c’è, la sinistra europea si ritrova di fronte alla realtà di un continente vecchio, fotografato perfettamente dalla mitica frase di Henry Kissinger: “L’Europa? Un gigante economico, un nano politico e un verme militare”. I cugini francesi, laici, illuministi, progressisti, ordinano alla polizia di chiudere la frontiera di Ventimiglia e far sgomberare gli immigrati che dall’Italia cercano di passare in Francia. Anche loro fanno da soli. Il capo del governo è lo stesso Manuel Valls che sorrideva sul palco con Renzi. Ogni nazione ha la sua storia e Parigi ha i suoi problemi, non c’è solidarietà, non c’è asse, non c’è patto e il tortellino è stato digerito da un pezzo: c’è l’interesse nazionale, c’è la difficoltà di governare con un presidente che ha il minimo di consenso nella storia della République, c’è una spesa che è il 57,5 per cento del prodotto interno lordo, c’è una produzione in ripresa, ma è un continuo stop and go, c’è un paese in ebollizione, c’è da far digerire il programma di Emmanuel Macron, banchiere di Rothschild diventato ministro dell’Economia, c’è in queste ore una sfida all’Assemblea nazionale, c’è la Francia e la sua storia, quella di un paese che ha costruito l’Europa grazie alla relazione speciale con la Germania, c’è la “N” di Napoleone sui ponti della Senna. E poi, non dimentichiamo mai la letteratura maestra di vita in tempi di dura economia, c’è Victor Hugo con “I Miserabili”, l’epilogo della battaglia di Waterloo, quel “portare l’ironia nel sepolcro, fare in modo di restar levato sulle punte dopo che si sarà caduti, annegare in due sillabe la coalizione europea, offrire ai re le già note latrine dei cesari, fare dell’ultima delle parole la prima, mescolandovi lo splendore della Francia, chiudere insolentemente Waterloo col martedì grasso, completare Leonida con Rabelais, riassumere questa vittoria in una parola impossibile da ripetere, perdere il campo e conquistare la leggenda, aver dalla sua, dopo quel macello, la maggioranza, è una cosa che raggiunge la grandezza di Eschilo. La parola di Cambronne fa l’effetto d’una frattura: la frattura di un petto per lo sdegno, l’irruzione dell’agonia che esplode!”. Eccolo, il generale Cambronne, merde!
Facciamo da soli. Perché fare insieme è difficile e l’immigrazione, la paura atavica dello straniero, tutto unisce e tutto divide. Lo sa bene Achim Post, segretario generale del Partito socialista europeo che l’altro ieri ha concluso a Budapest il suo congresso. C’era un candidato, lo spagnolo Enrique Barfin Crespo, espressione dei paesi mediterranei, ma è stato costretto al ritiro a gambe levate altrimenti la frittata finiva sul pavimento, e così al vertice del Pse è rimasto il bulgaro Sergei Stanishev e in sella tutti gli altri. Il Pse si è autocongelato, presenza in freezer, in attesa che finisca questo lungo inverno, in attesa di un miracolo che non arriverà. Ma l’opinione pubblica preme, come le masse alle frontiere, non c’è accordo su come affrontare il problema dei migranti. Sul tavolo c’è solo il titolo di una risoluzione (“per un’Europa tollerante, inclusiva e democratica”) ma lo svolgimento del tema è un mistero e Riccardo Nencini ha dovuto ammettere che “i sentimenti non sempre collimano”. Forse è meglio usare un altro verbo, “collidono”. Anche a Budapest, come a Bologna nove mesi fa, Pedro Sánchez ha raccolto flash e applausi. A dicembre avrà di fronte le elezioni politiche in Spagna. Ha davanti a sé un classico della politica europea, l’ennemi a gauche, il sulfureo pizzetto da giovane Lenin di Pablo Iglesias Turrión, leader di Podemos. Hanno conquistato Madrid con Manuela Carmela e Barcellona con Ada Colau, il Psoe di Sánchez ha fatto pochi voli pindarici e molta realpolitik alleandosi con gli Indignados. Il Ppe del premier Mariano Rajoy è ancora il primo partito di Spagna, ma Podemos non è il Movimento 5 stelle, fa alleanze, e la prospettiva di un cambio di inquilino al Palazzo della Moncloa è là, a portata di mano, così Sánchez pensa a cedere (a Podemos) senza recedere (dal governo). Toros, olè!
Facciamo da soli. Parole che non sfuggono a Diederik Samsom, il leader dei laburisti olandesi. Ex impero coloniale, terra di traffici e commercio, l’Olanda è un paese in bilico tra l’esperimento del piccolo chimico-politico e il caos. Il 18 marzo scorso le elezioni provinciali hanno aperto un varco nella diga del governo liberal-laburista guidato da Mark Rutte, già in difficoltà per i numeri latitanti al Senato, mentre il Partito per la Libertà di Geert Wilders ha raccolto meno voti del previsto e non sarà l’ago della bilancia come sperava. Chiuse le urne, contati i voti e distribuiti i seggi, il Senato olandese – viene eletto dalle province, elezione indiretta come nella riforma italiana – è diventato materia interessante per i rabdomanti del voto, in settembre si discuterà la legge di bilancio e la crisi è dietro l’angolo.
[**Video_box_2**]Facciamo da soli. E poi c’è lui… quello che nella foto di settembre, nell’afa di Bologna, al tavolo del tortellino, non c’era: Alexis Tsipras, primo ministro di una Grecia che paga i suoi errori, i bilanci falsi, le ruberie, la corruzione, le pensioni baby, lo stato come eterna mammella dalla quale suggere ogni cosa. E certo, anche la cecità della Troika, l’intervento in ritardo dell’Europa, le convenienze indicibili delle banche tedesche e francesi. Ma poi, al dunque, quando bisogna pagare le cambiali, c’è il gioco delle tre carte di Atene, il saldo di un debito con il Fondo monetario fatto con i soldi del Fondo monetario, insomma, eccole, le camicie bianche di Tsipras e quelle azzurrine di Yanis Varoufakis che spariscono in un baleno, ingoiate dal buco nero del debito ellenico. C’è una sinistra che ha un testosterone di rito fallimentare e ha promesso tutto in campagna elettorale potendo mantenere meno di niente oggi. La realtà del Partenone? Non podemos.
Facciamo da soli. Di fronte a questo scenario, ha ragione Renzi a dire che rappresenta l’unica sinistra in Europa che vince, ma allora deve anche trarne le conseguenze e smetterla di inseguire le utopie di chi marcia unito con le parole ma dimentica regolarmente gli scarponi a casa. Sono fatti e misfatti che diventano sogni disfatti. Scorrono le immagini dello sgombero dei migranti a Ventimiglia, la risposta dura della Francia si è materializzata mentre in Lussemburgo si incontrano i ministri dell’Interno dell’Unione europea. Cinico e baro si è rivelato il presente. Dov’è finita quella foto? Sembrava un nuovo inizio, la start up di una Terza via, invece la svolta sembra condurre verso un vicolo cieco. Così il “patto del tortellino” è diventato il rabbioso “facciamo da soli” di Matteo Renzi. Cari compagni, servono ettolitri di ammorbidente e candeggina, le camicie bianche sono sdrucite e ingiallite.