Il premier greco Alexis Tsipras (foto LaPresse)

La parabola Tsipras dimostra i limiti di chi prova a fare l'anticapitalista col culo degli altri

Claudio Cerasa
Mentre la Grecia ha le toppe sul Partenone, il premier ha continuato a fare l'allegro rivoluzionario anche a Bruxelles. Ma alla fine ha dovuto usare anche lui la parolina magica: austerity.

L’allegro balletto tra la scapigliata Grecia di Alexis Tsipras e l’inflessibile Europa di Angela Merkel continuerà chissà fino a quando, e passerà di accordo ponte in accordo ponte, di concessione in concessione. Non ci sembra però eccitante andare appresso alle clausole dell’accordo, all’insofferenza dei Fassina di Syriza e l’incazzatura dei Fondi monetari. Il punto centrale di questa tragedia greca, che scivola veloce tra il dracma e la farsa politico culturale, è che, comunque andranno le cose, il simpatico capo del governo del cambiamento greco non può non essersi reso conto dell’evidenza: non si può fare gli anticapitalisti con il culo e con i soldi degli altri. Intendiamoci: non siamo tra quelli che teorizzano la necessaria uscita dei discoli greci dall’Europa, pensiamo che l’Europa senza i nostri poveri greci sia un’Europa più povera e siamo convinti che ci sia un problema profondo legato al fatto che l’Europa non rispetta fino in fondo la sovranità nazionale di paesi come la Grecia.

 

Ma arrivati a questo punto della tragedia-farsa tocca fare un passo in avanti e ragionare sull’esito politico delle trattative per un movimento come Syriza, che dopo essere partito promettendo di cancellare il debito pubblico, di aumentare la spesa pubblica, di bloccare le privatizzazioni, di moltiplicare le assunzioni, i sussidi, e non concedere nulla all’Europa degli orrendi capitalisti nemici del popolo, si ritrova ora a fare i conti con l’ovvio principio di realtà: sei un paese che ha le pezze sul Partenone, e non sai come pagare i creditori e far funzionare la macchina amministrativa, l’allegro rivoluzionario lo puoi fare con passione durante la campagna elettorale, ma se poi vuoi governare senza correre il rischio di imboccare strade pericolose (Grexit, addio euro, fuck the Ecb) non hai altra strada che far tua quella parolina magica. La stessa parolina che ovviamente (ragione per cui Tsipras oggi è in difficoltà e prova a rilanciare) non potrà essere accettata da chi ti ha eletto per fare al governo esattamente il contrario: austerity, austerity, austerity. La notizia, lo diciamo ai Curzio Maltese di tutto il mondo, è che la retorica del Podemos funziona in campagna elettorale ma non può funzionare alla prova di governo per il semplice fatto che se i soldi non ci sono non si stampano sull’Olimpo: bisogna trovarli.

 

[**Video_box_2**]E qui sta l’altro problema che, in prospettiva, renderà il rigore alla Tsipras una mazzata per il popolo greco e che un giorno forse renderà incompatibile con l’Europa la democrazia all’amatriciana. Tsipras, si sa, ha proposto un piano fatto al 93 per cento di aumenti di tasse e contributi sociali a carico del settore privato e al 7 per cento di tagli alla spesa. Un piano dove non si sfiora con una piuma la riforma della Pubblica amministrazione o la liberalizzazione di alcuni settori cruciali dell’economia e dove l’unico punto centrale è chiedere alle poche forze produttive rimaste nel paese di sacrificarsi in nome della lotta alle diseguaglianze. La crisi, se ci ha insegnato qualcosa, ci ha insegnato che quando l’austerity è inevitabile il modo migliore per permettere a un paese di ricominciare a camminare non è la formula “tassare per non tagliare” ma è “tagliare e riformare per evitare di deprimere”. Il rigore populista e recessivo è la conseguenza diretta di un grande equivoco: in campagna elettorale non ci sono regole, puoi far sognare e raccontare balle, e il principio di realtà può essere inghiottito come un’oliva, ma quando governi, e soprattutto quando chiedi aiuti finanziari, ci sono regole, e devi inghiottire i Draghi più che le olive. Fare gli anticapitalisti con i soldi degli altri funziona quando prometti, quando sei al comando del paese è un’altra storia. Funziona così. E anche Tsipras deve essersene accorto quando ha capito che – kalos kai Dragatos – l’unico modo per salvare il suo paese era proprio quello: stringere la mano all’Europa e agli orrendi capitalisti nemici del popolo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.