Ma quale libertà di insegnamento, a certa sinistra interessa solo difendere l'egemonia culturale nelle scuole
Il rischio indottrinamento degli alunni mette in pericolo la missione dei docenti: trasmettere i valori del pluralismo e della tolleranza e di contribuire alla formazione di menti e coscienze critiche.
Nelle ultime settimane il dibattito sulla riforma della scuola ha lambito, tra gli altri, anche il tema della libertà d’insegnamento, con i rappresentanti dei docenti che hanno invocato la Costituzione repubblicana per scongiurare eventuali interventi normativi che il governo avrebbe potuto introdurre per limitare quella che ritengono una prerogativa irrinunciabile.
La libertà d’insegnamento, come si sa, è una declinazione della libertà d’espressione e una precondizione delle moderne democrazie liberali, di quelle società aperte all’interno delle quali non esistono dottrine di stato, verità precostituite e teorie irrefutabili. Essa è connaturata all’idea stessa di progresso, in campo scientifico, filosofico e politico. E’ la più importante difesa contro ogni forma di stato assoluto, autoritario e totalitario. Antonio Rosmini, 160 anni fa, ne aveva individuato il significato più compiuto osservando che “Un governo civile obbligando tutti i maestri e istitutori a seguire un unico metodo da lui stabilito per ogni ramo d’istruzione, non è solo violatore del natural diritto al libero insegnamento che hanno i dotti, ma di più è nemico del progresso”. E come nella scienza il progresso è condizionato dalla possibilità di verificare la validità di un’ipotesi o di un’intuizione diventata dottrina, allo stesso modo nei regimi democratici il progresso politico e civile è subordinato alla possibilità di prendere in considerazione e valutare ogni sorta di pensiero.
Ciascuno, dunque, può insegnare ciò che vuole, con la parola, la stampa o con qualsiasi altro mezzo di comunicazione e allo stesso tempo ha diritto di ricevere l’insegnamento che più gli aggrada, quello che gli suscita maggiore interesse e curiosità.
Nella scuola pubblica, tuttavia, la libertà d’insegnamento dei docenti deve fare i conti con l’età degli allievi e con la missione, che è propria di quell’istituzione, di trasmettere i valori del pluralismo e della tolleranza e di contribuire alla formazione di menti e coscienze critiche. Non può essere cioè licenza, né arbitrio di insegnare ciò che si vuole a ragazzi che frequentano invece la scuola pubblica per ricevere la rappresentazione del più ampio ventaglio di correnti culturali e per porsi con atteggiamento critico innanzi a ciascuna d’esse. Il docente della scuola pubblica non può, allora, utilizzare la libertà d’insegnamento come paravento dietro il quale nascondere la diffusione acritica delle proprie preferenze culturali o, peggio ancora, ideologiche. Può rivendicare la libertà da ogni forma d’invadenza di qualsiasi autorità che volesse imporgli questa o quella forma d’insegnamento ma non può dimenticare che il suo compito è quello di rappresentare compiutamente la realtà così com’è e tutte le correnti culturali che sono presenti nel panorama della conoscenza. La libertà d’insegnamento nella scuola pubblica non contempla la facoltà d’entrare in aula e predicare il verbo politico, culturale, filosofico o scientifico che più aggrada al docente, ma prescrive l’obbligo di introdurre gli alunni al mondo della conoscenza per come esso si presenta e senza omettere opzioni che potrebbero risultare sgradite a chi insegna.
Nella scuola italiana da decenni si registra la cosiddetta “egemonia culturale” della sinistra, non tanto a causa dello specifico contenuto dei programmi scolastici ma sopratutto in virtù dell’orientamento ideologico della maggior parte del corpo docente che si impegna a filtrare da un solo angolo prospettico la rappresentazione del mondo e della cultura, lasciando in disparte idee e dottrine alternative che in genere disprezza.
Il clima generale che si respira all’interno delle scuole risulta culturalmente troppo omogeneo e omologato. Alcune materie, come letteratura, storia, filosofia, economia e molte attività culturali extracurriculari si prestano poi naturalmente a degradare la libertà d’insegnamento in indottrinamento delle preferenze ideologiche del docente che la sorte ha assegnato in dote a ciascun alunno. I docenti italiani sembrano essere particolarmente propensi ad alimentare questa pratica deontologicamente deprecabile e a rivendicare nello stesso tempo la libertà d’insegnamento per esercitare in realtà la più criticabile delle influenze sulle giovani menti degli alunni, particolarmente vulnerabili in considerazione della loro età.
[**Video_box_2**]La mancanza di cultura economica pro mercato, una certa tendenza a colpevolizzare i frutti migliori della civiltà occidentale, la diffusione del pauperismo e dell’ambientalismo di maniera, il solidarismo acritico, il pacifismo a prescindere, la mediocrità elevata a sistema, sono tutte tendenze che possono essere ricondotte a una cultura specifica, degradata a ideologia, molto diffusa fra il corpo docente italiano che la riversa senza alcuna cautela e senza spirito critico sui propri alunni. Non è libertà d’insegnamento questa, ma indottrinamento vero e proprio, a dispetto della libertà degli alunni, delle famiglie e della speranza nel progresso civile dell’Italia.