In Sicilia il partito della Regione si mangia il partito della Nazione
Palermo. “Per me il Sud non è solo un elenco di problemi”. Un anno fa, arrivando a Palermo, Matteo Renzi la pose così. E mai profezia fu più smentita. Perché il Mezzogiorno, sempre più desaparecido dall’agenda politica nazionale, negli ultimi mesi sta diventando un granaio di rogne per il premier e per il Pd. A partire da Palermo, dove la pittoresca avventura di Rosario Crocetta al governo della regione è sempre più impantanata, con uno stillicidio di dimissioni dalla giunta e una guerra aperta tra il riottoso governatore e il proconsole renziano locale, Davide Faraone – che Crocetta, con la consueta misura, ha accusato solo l’altro giorno di usare “lo stesso linguaggio dei Lima e dei Ciancimino”. Il naufragio siciliano, con un Pd in pieno stato confusionale e i 5 Stelle che preparano la rincorsa alla presidenza della Regione è solo il capofila di un più generale calvario meridionale per i democratici. Dalla quasi surreale vicenda di De Luca a Napoli alle cronache giudiziarie calabresi con un Pd travolto e in pieno caos, il sud in questo momento offre quotidiani dolori al premier, come se non bastassero già quelli romani.
In Sicilia il quadro è più confuso che mai. Il Pd mal sopporta da tempo il “suo” presidente della regione. Nell’ultima settimana tre assessori hanno tolto il disturbo. L’ultimo addio, il più clamoroso, quello di Lucia Borsellino, figlia di Paolo e vessillo antimafia sbandierato da Crocetta in campagna elettorale. La Borsellino ha ufficializzato l’addio giovedì con una lettera dai toni tranchant: “Prevalenti ragioni di ordine etico e morale e quindi personale, sempre più inconciliabili con la prosecuzione del mio mandato, mi spingono a questa decisione”, ha scritto, facendo esplicito riferimento all’ennesimo scandalo della sanità siciliana che ha visto finire ai domiciliari il medico personale di Crocetta, approdato nelle stanze dei bottoni regnante il suo più noto paziente.
E se attorno a Crocetta si fa sempre più terra bruciata, il Pd non sembra nelle condizioni di gestire la situazione. Dopo aver rimediato un paio di ceffoni alle amministrative del mese scorso, incluse la sconfitta per mano grillina a Gela, città del governatore, e la clamorosa caduta del barone rosso Mirello Crisafulli a Enna, il Pd siciliano si trova ora a discutere dell’opportunità di proseguire il cammino accanto a Crocetta. Un deputato regionale democrat, Fabrizio Ferrandelli, ha lanciato la proposta di una mozione di sfiducia, rimanendo però isolato nel gruppo. Sullo sfondo restano i seri problemi legati allo stato di salute dei conti regionali, col rischio concreto di un’impugnativa dei documenti contabili da parte del governo nazionale e la spada di Damocle del giudizio di parifica della Corte dei conti, atteso per oggi. I rapporti tra il partito, e in particolare i renziani, e il presidente della regione sono ai minimi e domani la direzione regionale dovrà decidere se continuare a sostenere la giunta. Eppure Crocetta mercoledì rilasciava alla Stampa un’arrembante intervista in cui attaccava a testa bassa il Pd e lo stesso Renzi.
Oltre Stretto, la musica non migliora. L’indagine sui rimborsi dei gruppi consiliari in Calabria ha investito in pieno il Pd. Un assessore arrestato, il vicepresidente della Regione indagato e dimissionario, un partito in cui sono subito volati gli stracci. Una pacchia per Beppe Grillo, che non ha perso tempo a invitare il Pd a costituirsi.
[**Video_box_2**]Sicilia, Calabria, ma anche, ovviamente Campania. Dove il noto caso De Luca ha intrappolato la regione in una ragnatela di codicilli. Giovedì un punto importante è stato segnato in favore del governatore. L’accoglimento del suo ricorso da parte del tribunale di Napoli gli ha permesso di insediarsi, in attesa di una pronuncia sul merito. Il Pd locale nel frattempo finisce coinvolto con suoi esponenti di punta in inchieste per corruzione e turbativa d’asta ad Ercolano (inaccettabile per un partito, come è quello del pd meridionale, a vocazione moralista). Bazzecole al confronto gli inciampi in Puglia, dove Michele Emiliano, dopo il successo elettorale, si è guadagnato i titoli dei giornali per aver nominato addetta stampa la compagna Elena Laterza, già sua portavoce al comune di Bari. “Non cambio il miglior addetto stampa che abbia mai avuto e che lavora per me da 11 anni solo perché ci siamo innamorati. Non sarebbe giusto”, ha commentato il governatore con un tweet poi rimosso. Moralisti moralizzati. Piccoli e grandi dispiaceri per Renzi, che proprio al Sud, dove non c’è (per lo meno per il momento) il fiato sul collo di Salvini, dovrebbe costruire uno zoccolo duro di consenso. Scandali e malgoverno locale (il Pd amministra tutte le regioni del Mezzogiorno) certo non aiutano. Tanto più alla luce della disattenzione fin qui dimostrata dal governo per la questione meridionale, con mosse discutibili come il finanziamento delle decontribuzioni per i nuovi assunti (misura di cui beneficerà più il nord) pagato con tre miliardi originariamente destinati al sud. Intanto, il fantomatico nuovo ministero per il Sud al momento è rimasto solo un’idea, la coesione territoriale non ha più una regia chiara e gli indicatori economici del Mezzogiorno – mezzo milione di posti di lavoro bruciati dall’inizio della crisi – frenano ogni speranza di ripresa del pil nazionale. Ma questa è un’altra storia.