La disfatta della brigata Peter Pan
Di fronte all’improvvisa e formidabile trasformazione di Alexis Tsipras, e di fronte al suo passaggio solo apparentemente inspiegabile da capo tribuno, da Masaniello del Pireo, da capo dell’internazionale dei cialtroni, a politico realista, disposto a scendere a compromessi con l’Europa dei terroristi della finanza pur di evitare il crollo finanziario del proprio paese, la reazione della brigata Peter Pan, di quei politici cioè che osservano l’economia di mercato con gli stessi occhi di quei bimbi sperduti che sanno che l’unico modo per non crescere è osservare il mondo da un’isola che non c’è, è stata un mix di depressione e delusione, sgomento e disillusione per quella che poteva essere una grande occasione di riscatto e che invece è diventata l’ennesima prova dell’incompatibilità culturale tra un governo riformista e una sinistra alle vongole. Da questo punto di vista, quella sinistra che punta a plasmare la propria identità facendo leva sul generico e pigro appello alla lotta contro il neoliberismo è una sinistra che può esistere nei libri di Krugman, di Fassina e di Varoufakis, ma è una sinistra che ogni volta che si ritrova a dover affrontare la prova di governo non può che affrettarsi a trovare un pretesto per farsi da parte e tornare a fare l’unica cosa in cui ha una sua indubbia credibilità: l’opposizione. Sotto questa prospettiva, la lezione greca ci consegna una fotografia nitida e spietata di un primo ministro che essendo stato improvvisamente assalito dalla realtà ha reso incompatibile con se stesso i ministri assaliti dall’ideologia: dall’inarrivabile Yanis Varoufakis alla sua ex vice Nadia Valavani. Entrambi, come si sa, hanno votato contro il piano di salvataggio ed entrambi sono arrivati onestamente alle stesse conclusioni a cui non vogliono arrivare gli altri campioni della lotta al neoliberismo: per essere coerenti, rompere gli schemi, non fare la fine di Narciso e di Peter Pan, l’unica cosa da fare è uscire dal club dell’euro e imboccare al buio, bendati, la strada sconosciuta della rottamazione della moneta unica.
A voler proseguire nel ragionamento, si potrebbe dire poi che non è un caso che quando un governo guidato da un leader di sinistra viene inghiottito dalla realtà siano spesso proprio i ministri a dover riconoscere la propria incompatibilità. A parte il caso Tsipras, tra i tanti esempi che si potrebbero pescare in giro per l’Europa quello che più ci offre una storia significativa di improvvisa uscita dall’isola che non c’è riguarda la Francia di Hollande, eletto anche lui, come Tsipras, in nome dell’anti rigorismo merkeliano, e non a caso endorsato ai tempi anche dal nostro eroico Renato Brunetta, e costretto anche lui poi, come Tsipras, a rendersi presto conto che la politica dell’anti austerity fine a se stessa è una truffa, e che l’unico modo di combattere l’austerity non è dunque assecondare i capricci della pancia oltranzista del proprio partito ma è quello, più impopolare ma più reale, di mettere insieme popolo e mercati, finanza e consenso. Risultato: la presidenza Hollande era partita con un governo tendenza Syriza che aveva affidato il ruolo di ministro dell’Economia a un Varoufakis più composto ed educato, Montebourg; ma dopo molte peripezie, la Francia di Hollande si è ritrovata con un ministro dell’Economia che proviene direttamente dal mondo della finanza (Macron) e che è arrivato al fianco del premier Valls dopo le dimissioni del Varoufakis francese maturate proprio quando Hollande decise di indirizzare verso il centro la propria azione di governo. Dimissioni, se vogliamo, simili a quelle offerte un anno e mezzo fa da Stefano Fassina, viceministro del governo Letta, che dopo aver guidato il gabinetto economico del Pd più rigorista della storia repubblicana, a un certo punto della sua avventura decise anche lui di fare la stessa cosa che sono costretti a fare regolarmente i Peter Pan della sinistra assaliti dalla realtà: farsi da parte e allontanarsi il più possibile dall’isola che c’è del governo per mettere in piazza il proprio “no” all’Europa delle banche, delle finanza e del rigore.
[**Video_box_2**]Quello che insomma la brigata Peter Pan non può ammettere non è solo che il peso degli elettori conta spesso quanto quello dei mercati ma è che per cambiare l’Europa il modo migliore è farlo da dentro il condominio dell’Eurozona e non da fuori. Tsipras questo ha detto e questo ha fatto, e a suo modo ha avuto coraggio: è stato il primo leader europeo a poter scegliere quale bottone schiacciare e a costo di perdere la propria faccia ha scelto (per ora) di non perdere il proprio paese, e ha capito che l’unico modo per governare per un caudillo senza vocazioni suicide è quello di smentire se stessi e fare i conti con i vari ingredienti della democrazia europea. Ovvero, non solo con i popoli e gli elettori ma anche con le banche, le istituzioni finanziarie, le élite, i mercati, e con quegli universi paralleli al mondo della politica con i quali bisogna parlare e che bisogna domare, ed è per questo che nell’Europa a sovranità limitata sono sempre di più i primi ministri che scelgono di affidare le chiavi dell’economia dei propri paesi a persone che quei mondi paralleli li conoscono bene. In Francia c’è Macron. In Italia oggi c’è Padoan (ex Ocse) e ieri c’era Saccomanni (ex Bankitalia). In Spagna c’è De Guindos (scuola Lehman Brothers). E si potrebbe continuare per ore. “Soffriamo tutti di un disturbo da stress post traumatico”, ha detto mercoledì sera Alexis Tsipras prima di veder nascere in Parlamento una nuova maggioranza attorno al suo governo. Quello stesso disturbo, se non fosse chiaro, che colpisce e continuerà a colpire a lungo l’internazionale dei Podemos d’Europa. E tutti coloro che, cialtronescamente, fanno finta di non capire che l’unico modo possibile per combattere il rigore oggi è accettare il principio degli aiuti finanziari in cambio di riforme strutturali oppure scegliere di andare al mare con i compagni Fassina e Varoufakis.