“L'eresia di Renzi? Citare la destra per cambiare la sinistra”
Roma. “E’ una grande novità. Anzi: per il centrosinistra un cambiamento di Dna”. Per Luca Ricolfi, sociologo e docente all’Università di Torino, editorialista del Sole 24 Ore, l’obiettivo di Matteo Renzi di puntare nel 2017 a superare la Spagna nel ridurre le tasse sulla produzione – al 24 per cento contro il 25 – costituisce un chiaro messaggio politico, oltre a un impegno “da verificare sui fatti”. Quello di Mariano Rajoy infatti è un governo conservatore, “e averlo scelto come benchmark – dice Ricolfi al Foglio – è di per sé anche una sfida al suo partito, ai vecchi riti e alle antiche alleanze. E non credo sia un bluff”. Il professore, che nei mesi scorsi non è stato tenero con certi atti del premier, individua nelle sue ultime mosse – l’annunciata riduzione delle tasse, i tagli alla spesa sanitaria e ora il sorpasso sulla Spagna – il “secondo momento felice”, un ritorno all’età dell’eresia: “Quando polemizzava con i professori, i burocrati, i magistrati”. I conservatori spagnoli infatti, e in misura minore anche i socialisti, non solo hanno scelto strategicamente la bassa tassazione sulle imprese, “ma hanno anche attuato politiche del lavoro che qui la sinistra chiama abitualmente macelleria sociale”. Risultato: una tenuta invidiabile della produzione, una crescita stimata quest’anno nel 3,3 per cento, però con una disoccupazione ancora oltre il 20. “Sì, ma con questi ritmi la Spagna potrebbe riassorbirla presto. Tuttavia, poiché è difficile confrontare economie così diverse, ciò che conta è il segnale politico. Che da una parte mira certo a ottenere più flessibilità dall’Europa, com’è accaduto con Madrid, ma dall’altra riconosce che non esistono più ricette marcatamente di sinistra o di destra, ci sono invece cose che funzionano oppure no. La crisi lo ha dimostrato. Un pragmatismo trasversale e anti ideologico che spero sia il tratto di una renziana fase due”.
Ricolfi nota che, al contrario della Spagna, i governi italiani, di sinistra ma anche di destra, si sono finora curati assai poco di creare condizioni favorevoli all’impresa. “Non l’ha fatto certo l’Ulivo che ha introdotto l’Irap, né il vecchio Pd. Ma neppure il centrodestra berlusconiano che ha indugiato pure lui nell’assistenzialismo, nel rassicurare più che nel cambiare”. Eppure a settembre 2014, quando Mario Draghi indicò nel modello spagnolo un esempio per attrarre investimenti, Renzi rispose illustrando in Parlamento il programma dei mille giorni: “Contrariamente a quello che ci suggeriscono – disse – il nostro modello non può essere la Spagna, un paese che ha il doppio di disoccupazione dell’Italia”. E neppure oggi il premier ha detto di voler seguire Rajoy sulle minori tutele per i dipendenti, soprattutto quelli pubblici, quanto sulla riduzione delle imposte. Nel nuovo calendario fiscale, che prevede nel 2016 la soppressione delle tasse sulla prima casa e l’Imu agricola e sui capannoni, e nel 2018 il taglio dell’aliquota media dell’Irpef, è nel 2017 che dovrebbero essere sforbiciate Irap e Ires. Di 7,4 punti rispetto ai 31,4 attuali. “Caso mai si è aspettato troppo”, osserva Ricolfi, riferendosi a esponenti dem come Enrico Morando (viceministro dell’Economia) che un anno fa suggerivano di partire proprio da lì. Ora però, a suo giudizio, è giusto mantenere il calendario renziano di sgravi fiscali, iniziando cioè dalla casa. “Su questo ho cambiato idea io”, dice Ricolfi, in controtendenza rispetto a quanto sostenuto da economisti come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “L’incremento della tassazione immobiliare è stato mostruoso. Alleviarla ha effetti su tutta l’economia. E politicamente è un’altra rottura con i vari Bersani che accusano Renzi di berlusconismo”.