Rai, gli embedded del telesogno
"Sto’ a recupera’ er giubbetto antiproiettile”. Ah, ecco, qualcosa è cambiato. “Sechi, ma che stai a di’, c’avemo er presidente embedded, qua mo’ semo tutti veterani de ’a guera irachena”. Clic. Spirito di adattamento, camaleontismo o trasformismo, alla fine della fiera la Rai volta pagina. Monica Maggioni vola verso la presidenza, Antonio Campo Dall’Orto è a un passo dalla direzione generale, metà cda (forse) ballerà gratis la rumba della tv di stato, ma tra fase SamuRai e qualche interruzione di trasmissione tra Palazzo Chigi e Palazzo San Macuto, sul ponte di comando di Viale Mazzini ci sarà una coppia inedita: una giornalista che sa cosa è e come si confeziona una notizia e un uomo di prodotto televisivo che conosce il mercato. Sono del settore, hanno l’età giusta (classe 1964 entrambi) per metterci fantasia e energia. Carpe diem. E vade retro partito dei catastrofisti a prescindere. Giudicheremo i fatti.
La situazione rischiava di incartarsi, ma Matteo Renzi ha sparigliato: tutti i nomi eternamente candidati a questo o a quell’incarico editoriale (e non) sono finiti nel tritacarte fiorentino. Il premier è tornato al principio del renzismo: via i divanisti in servizio permanente effettivo, via i decani dell’autorevolezza imparruccata, via cipria e smalto d’apparato, zero salotti colti (e cotti), dentro qualcuno che ha ancora voglia di giocarsela.
Nel frattempo gli editorialisti in bigodini hanno scoperto che i consiglieri sono stati scelti dai partiti. Si sono assicurati la candidatura al premio Acqua Calda 2015. Si è votato con la legge Gasparri, boys. E la riforma della Rai arriverà fra tre anni. Questi sono i tempi, il resto è filibustering e una magra figura della minoranza del Pd che ha sfiammato in Vigilanza il nome di Ferruccio de Bortoli certificando la sua irrilevanza tattica, ma anche un tafazzismo votato alla distruzione.
Nel cda ci sono un paio di pensionati, a Palazzo Chigi e in Parlamento si sono dimenticati che una legge del ministro Marianna Madia ne limita l’utilizzo nelle aziende pubbliche. Si apre un problema di interpretazione sulla permanenza in carica e sul compenso. La mia leguleia fonte “Tripla A” assicura che ci sono margini ampi per lasciare tutti al loro posto. Alcuni al verde. In ogni caso si tratta di indennità dal volto umano: il compenso di un consigliere Rai nel 2013 è stato di 66 mila euro. Renzi dixit: “E’ un non problema”. Carlo Freccero, allegramente sulfureo, ha già detto sì all’austerity. Gli altri seguiranno.
[**Video_box_2**]Si poteva fare di più. Sì, questa l’abbiamo già sentita cantata da Ruggeri, Morandi e Tozzi a Sanremo. Ma Renzi non voleva – e non poteva – andare oltre con i tempi. Più rigirava la clessidra, più la sabbia scorreva, più la minoranza dem e Forza Italia avevano filo da tessere e guai da procurare. Il vero tema che resta sul tavolo da gioco estivo è un Pd spaccato come un’anguria. Renzi su questo dovrà lavorare parecchio. Come sullo staff di Palazzo Chigi. La storia delle nomine Rai ha mostrato gli arcinoti limiti di coordinamento tra il Parlamento e il governo. In queste condizioni, fare di più era quasi impossibile. Il segretario della Vigilanza, Michele Anzaldi, con i suoi colleghi, è riuscito a “trovare la quadra” in uno scenario balcanizzato. Lui, Anzaldi, sembra uscito da una corsa di bighe al Circo Massimo: “Abbiamo scelto una donna, una giornalista competente, sa che il futuro passa da internet, conosce bene l’azienda, è stimata all’estero, è la persona giusta per la presidenza. Se c’è qualche timore per i nomi nuovi del cda – ma io penso siano all’altezza – con Monica Maggioni e un fantasista come Antonio Campo Dall’Orto, abbiamo formato la coppia giusta per il futuro della Rai”. Se non va, sarà colpa sua. Se va, è merito degli altri. Dura la vita nel Pd.
L’accordo sul nome della Maggioni è nazarenico? Sì e non poteva essere altrimenti. E’ la regola dei due terzi a imporlo, con buona pace dei viaggiatori nella stratosfera che cercano la “tv che non c’è”. E non ci sarà. Quella è Telesogno. Non esiste neppure alla Bbc.