Consigli non richiesti a Mattarella per svacanzare senza leggere passabili banalità
Presidente Mattarella, ma che ha voluto dirci svelando a Marzio Breda i libri che porta con sé in vacanza? I quirinalisti sono sempre convinti che un presidente non parla mai tanto per dire, non agisce mai tanto per fare e lei probabilmente ancora meno dei suoi predecessori. Allora cosa ha voluto dirci? Forse che dovremmo essere tutti, e sopra tutto i giovani, austeri e riflessivi, in una parola tristi e un po’ pallosi?
Se avesse messo in valigia la mamma di Massimo Recalcati o la primavera incerta della Concita De Gregorio, avremmo avuto un segno della sua disponibilità a trasgredire, a essere un passeur de frontières, in fondo anche un lacanismo da grande distribuzione e un grandioso, tragico fatto di cronaca seppure raccontato con non molta anima servono allo scopo. Non che gli affreschi storico-resistenziali di Cazzullo e Scurati e le ultime fatiche bibliche di Enzo Bianchi, priore di Bose, non siano ottimi libri, anzi eccellenti: è solo che sono prevedibili, siedono perfettamente alla sua immagine, alla sua natura e a quello che dobbiamo credere sia il suo carattere. Avremmo tanto voluto che andasse oltre le radici culturali della sua infanzia, che poi sono le stesse di suo fratello Piersanti e prima ancora di suo padre Bernardo. L’avremmo voluto rizoma, portato da una sua personale curiosità a scavare gallerie sotterranee, ad aprire strade verso terre che la nostra piccola politica ignora. Non sarebbe stato male se nella sua valigia ci fosse stato un po’ di quello che leggono gli italiani, non dico la saga completa delle 50 sfumature, di cui per inciso va detto che ci sarà pure qualcosa nella contemporaneità di quest’occidente ricco e sessualmente svaccato che ha fatto sì che ne siano state vendute centocinquanta milioni di copie, comunque non Grey ma almeno un paio di romanzi della Ferrante, no?
Lei dice che si deve “regredire per progredire”, tornare indietro a recuperare eventi ed emozioni dentro le quali è cresciuto e si è formato perché “tenere sempre al centro l’uomo e la libertà”: ho l’impressione invece che si torna indietro e si resta indietro, la rilettura delle grandi pagine lette in gioventù non è preziosa come la prima volta, ci conforta ma è accademia. Che la storia sia maestra di vita è un imbroglio: l’eroismo dei partigiani sacrificatisi sperando che il loro sangue potesse servire, il coraggio solitario di Leone Ginzburg non ci vaccinano dalla xenofobia dilagante del tempo presente. Dove procediamo a salti e alla cieca, fra rotture di ogni tipo.
Cominciare da dove cominciò lei, da Dostoevskij, cioè dalla presa d’atto che la colpa non ha redenzione, può andare bene anche per i giovani, ma da zio della Repubblica avrebbe avuto un appeal migliore se avesse detto loro di intercalare che so con Zerocalcare o Tex Willer o Dylan Dog o Mafalda o perché no, Fabio Volo.
[**Video_box_2**]O magari con qualche grande affresco sulla disperazione contemporanea, per esempio il “Potere del cane”: il mondo di Don Winslow sta a quello di Roberto Saviano come tremila chilometri di frontiera tra Messico e Stati Uniti stanno a Scampia. Racconta tra le altre cose di un vescovo, pastore di anime perse, carismatico, ostinato: farà una brutta fine. Ma è qualcuno che sta nelle cose di questo mondo più degli ottantacinque catto-comunisti ed eremiti di Bose.