Contro i moralisti dell'immigrazione
Il grande equivoco nelle discussioni sull’esodo è nel moralismo che le ispira. Sembra che i viaggi, le morti per acqua, gli approdi selvaggi, gli scavalcamenti forzosi delle frontiere, carovane con centinaia di migliaia di miserabili in marcia disperata, sembra che tutto questo avvenga nella scala dei valori, dell’etica, sembra che riguardi il nostro animus, la nostra disponibilità fraterna, la nostra capacità evangelica di essere buoni samaritani: siamo egoisti o altruisti, erigiamo muri o accogliamo a braccia aperte, salviamo o respingiamo? Ed è arrampicandoci su per la scala dei valori che cerchiamo di escogitare strategie difensive spesso perfino grottesche: il reato di immigrazione clandestina, l’accoglienza concentrazionaria, i centri di registrazione legati al funzionamento del Trattato di Schengen, le quote e la redistribuzione, la distinzione tra l’asilo politico e l’immigrazione economica, cioè tra la fuga dalla guerra o dalla fame, e altre cosucce che non meritano una elencazione dettagliata. Poi una fervorosa battaglia di sentimenti, di emozioni, di idee astratte: tutto sotto il cappello della demagogia, dell’istinto, della paura o, all’opposto, del filantropismo umanitario che i settori spesso meno protetti e più deboli della popolazione dovrebbero sopportare in silenzio.
Invece l’esodo in corso nel Mediterraneo è un fenomeno della realtà, va considerato un problema strategico e politico nello scenario del mondo, non un rimbombo eticheggiante nel teatrino delle nostre anime. Che appunto l’anima dell’Europa sia morta, come ho letto, perché qualche fessacchiotto travestito da populista vuole impedire lo sbarco di carrette del mare piene di bambini non accompagnati, bè, è un’iperbole mal trovata, una sparata senza senso. Una volta rapidamente assodato il dovere di tendere una mano al prossimo, cosa che peraltro quasi tutte le nazioni europee importanti stanno facendo molto commendevolmente (ottocentomila Asylanten per i tedeschi è in proporzione più dell’immigrazione annuale americana e ieri Merkel ha ufficializzato la decisione di sospendere l’espulsione e il rinvio dei richiedenti asilo di nazionalità siriana), la sceneggiata del cuore dovrebbe avere un suo giusto termine e compimento, e si dovrebbe passare a una analisi spassionata, non emozionale, alla ricerca di cause e soluzioni. L’esodo mediterraneo non è analogo ai flussi verso il Canada (incoraggiati da decenni) o a quelli verso l’Australia (no way: i manifesti del governo ti avvertono minacciosamente e dissuasivamente che non ti insedierai in Australia se arrivi su una barca priva di autorizzazione). Qui la questione è quella di un dilagante fenomeno di guerra e di tragedia sociale alle porte di casa, nel segno della rinuncia occidentale o euro-americana a disciplinare con la forza diplomatica, politica e militare le aree di crisi caratterizzate da guerre civili, da furie interetniche e dal jihadismo islamico.
[**Video_box_2**]In poche parole. Se ti ritiri dalla realtà, se non dislochi intelligenza, idee vere, concrete, e risorse in un piano di attacco e di state building là dove osano e volano le peggiori canaglie del mondo, il minimo che ti può succedere è la crisi migratoria alle porte di casa. Non è questione di altruismo o di egoismo. Il fatto è che lo scorso decennio sarà ricordato per l’eroismo dei willing in Afghanistan e Iraq e per l’impiccagione di Saddam, questo decennio per la ritirata obamiana, il Nobel per la Pace e la decapitazione del custode della memoria romana antica nel deserto siriano. Ora vediamo i milioni di profughi in fuga che non vedemmo dopo la conquista occidentale di Baghdad.