Il Meeting di Renzi sul lago di Tiberiade
Quello che volevano sentirsi dire i giornalisti non l’ha detto, quello che gli interessava fargli sapere invece sì. Perché i media non dimentica mai di saperli usare. Non ha parlato di unioni civili, non s’è sbilanciato su scenari politici né su nuove (sante?) alleanze. Ha fatto sapere di non essere venuto a cercare consensi (come quel suo tal predecessore) né a cercare affinità con imprese e opere (come quell’altro suo predecessore, inteso alla Ditta). Sull’Italia, si è limitato a dire che le riforme vanno avanti perché bisogna semplificare, che la legge elettorale serve a non farsi fregare dalle proprie minoranze, e che le tasse caleranno. Un giorno, presto. L’atteso debutto del premier boyscout al Meeting di Rimini conteneva qualche blanda insidia mediatica (nella tana del lupo ex berlusconista?) e qualche più sensibile insidia politica (dispiacere molto alla sinistra, un’aria vaga da campagna elettorale). Le ha schivate. Matteo Renzi non ha lisciato il pelo ai ciellini (“non volevo venire”) ma molte delle sue frecciatine garbate non devono essere dispiaciute alla dirigenza ciellina, per il loro marcare la differenza col passato, con gli anni dell’intreccio politico e della passerella economica. “Matteo” (si davano del tu) ha invece accarezzato il lato giusto, la Cl che gli piace è quella dell’educazione, degli amici degli anni di scuola e delle discussioni su Leopardi. Anche se la platea ciellina non è proprio avvezza all’ironia e non ha apprezzato come meritavano certe battute sottili, come quelle sul senso religioso da scovare in Guccini.
Poi però ha detto l’essenziale, il Dna del renzismo che piace anche ai ciellini: basta con l’ideologia. “In questi 20 anni l’Italia ha trasformato la Seconda Repubblica in una rissa permanente ideologica e ha smarrito il bene comune”. “Io credo che il berlusconismo e per certi versi anche l’antiberlusconismo hanno messo il tasto pausa al dibattito italiano. Ora il nostro compito è di rimetterci a correre”. Per il resto, fedele al tema assegnato e alle domande rivoltegli, ha detto cose nobili e giuste. Che si salvano gli immigrati anche a costo di perdere voti, che non si cederà agli impresari della paura. Ha sottolineato – e questo lo fanno in pochi, anzi i politici non lo fanno quasi mai – che il terrorismo oggi colpisce le scuole, i musei e le chiese: cioè proprio i luoghi della cultura e dell’educazione, ciò che fa la differenza tra la nostra civiltà e la barbarie. Ha citato La Pira, “il Mediterraneo è il prolungamento del lago di Tiberiade”. Ha sfoderato insomma la narrazione di un’Italia che riprende il suo ruolo nel mondo perché è cultura e civiltà nel centro del Mediterraneo. Cioè è la vera Europa. E non teme né il terrore né l’immigrazione né la globalizzazione, che anzi “è invece il nostro asset principale”. E lui è il leader che crede in tutto questo, in un cambio di passo che non è soltanto politica interna. Renzi sa dire quel che la maggioranza del paese vuole poter pensare, senza ideologie. E’ esagerato credere che la narrazione basti, o che l’Italia da ieri abbia davvero una politica euromediterranea. Ma questo andava detto al Meeting, e lui l’ha detto.