Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Sconsigli al Cav.

Alessandro Giuli
Cosa potrebbe inventarsi Berlusconi per una rentrée da par suo? Per cominciare si mostri al suo popolo. Segua l’istinto e si guardi dai consiglieri, se può. Noi compresi. Ascolti tutti ma sempre incredulo, faccia suo anzi lo stoico adagio di Marco Aurelio: prendere senza illusioni, lasciare senza difficoltà. Ma anche questo è un consiglio, tanto vale allora proseguire.

Settembre, che fare? Anzitutto segua l’istinto e si guardi dai consiglieri, se può, presidente Berlusconi. Noi compresi. Ascolti tutti ma sempre incredulo, faccia suo anzi lo stoico adagio di Marco Aurelio: prendere senza illusioni, lasciare senza difficoltà. Ma anche questo è un consiglio, tanto vale allora proseguire. La rentrée di settembre è un’occasione che il Cav. potrebbe cogliere per uscire dal cono d’ombra in cui s’è autorecluso da troppo tempo, offrendo l’immagine di un sovrano ferito e dormiente, la testa poggiata su pile di sondaggi funesti, un re non più taumaturgo, circondato da fate Morgane impegnate a ingollare i rimasugli di un pollaio deserto, e a beccarsi a vicenda. Da questo dormiveglia politico filtra poco più che un rumore di fondo per retroscenisti: dirò sì a Matteo Renzi e alla sua riforma istituzionale in cambio di questo e quello, oppure no; incontrerò Matteo Salvini, anzi no, al massimo una telefonata… un ticket elettorale con lui, perché no? Perché no; rimpannuccerò Forza Italia, oppure m’inventerò l’Altra Italia con apposito casting, un corredo di Veneri nere e qualche repêchage; chiederò elezioni anticipate… ma speriamo che non arrivino anzitempo. E così via, nel ronzìo ripetitivo di propalazioni affidate in via semi ufficiosa a seconde e terze file in cerca di vita.

 

Ora basta però. Berlusconi, che sabato uscirà dal guscio dei suoi palazzi per farsi intervistare alla Versiliana da Alessandro Sallusti, ora avrebbe tutto l’interesse a uscire dal cerchio stregato delle dichiarazioni per procura, a riemergere fisicamente, a mostrarsi e a protestare il proprio peso politico in prima persona. Con Renzi, se sia il caso di farlo (e lo è), dovrebbe parlare vis-à-vis, pretendendo che il premier ascolti il punto di vista del principale contraente di un patto di sistema mai caduto davvero, che fuoriescano note ufficiali di agenda. Con Salvini idem, posto che abbia senso stabilire linee di confine da valicare a intermittenza e in nome di un progetto condiviso, se non comune. E lo stesso con la stampa, le tivù, i leader conservatori internazionali.

 

Sto parlando insomma di una strategia della presenza che non contrasta con il ruolo del compassato padre rifondatore d’un mondo disperso e orfano, anzi è dettata dall’urgenza di riaprirsi al mondo, salvarsi dalla claustrofobica segregazione che grava sul Cav. come un’appendice superflua dell’iniqua restrizione comminata alla sua libertà dai tribunali dell’inquisizione antiberlusconiana. Si tratta in breve di sperdere la nebbia intorno a sé, silenziare il coro stonato delle prefiche e degli adulatori, rimettersi in gioco. Disintermediare, per dire in maniera renziana quel che Berlusconi ha insegnato al più giovane Renzi.

 

[**Video_box_2**]E il programma?, le alleanze?, le inimicizie e il cabotaggio da seguire? Tout le reste suivra, come la limatura di ferro con il magnete. Perché adesso l’essenziale è manifestarsi, irrompere a cielo aperto nella scena pubblica contesa dai due populismi paralleli di Renzi e Beppe Grillo, facendo questo con i toni da statista liberal-nazionale che fu, e forse è ancora, lontano dalle piccinerie demagogiche delle destre urlanti e dei loro fratelli di taglia. Se poi voglia anche lanciare o lasciare un nome e un progetto, glielo prestiamo noi, dannunzianamente: Patria – per la più grande Italia. Purché si fidi di sé, e diffidi d’ogni consiglio.

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