Palazzo Chigi ha un'idea per rendere più flessibili i patti di stabilità
Al direttore - Nicola Rossi, nel suo articolo pubblicato qualche giorno fa dal suo giornale, fornisce una rappresentazione piuttosto fantasiosa delle posizioni del governo in merito a due rilevanti questioni di finanza pubblica. La prima è la sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittime alcune scelte di bilancio della regione Piemonte per il 2013. Il prof. Rossi pensa che gli effetti si estendano “pare un po’ a tutte le regioni con eccezione della Lombardia e della Basilicata”, con un danno “compreso tra i 10 e i 20 miliardi di euro”. La realtà è piuttosto diversa.
La sentenza si riferisce solo al Piemonte, il cui bilancio non fu approvato dalla Corte dei conti che sollevò la questione di costituzionalità dinnanzi alla Consulta. Non vi è alcun effetto automatico sulle altre regioni, i cui bilanci sono invece stati tutti parificati dalle rispettive sezioni regionali della Corte dei Conti. Quello che la sentenza spinge a fare è esattamente quello che il governo si appresta a predisporre: una norma atta a meglio interpretare le norme del DL 35, al fine di fugare ogni dubbio in merito alla contabilizzazione di quelle somme e alla corretta redazione dei bilanci. La seconda questione che viene utilizzata per dipingere il governo italiano “come la Grecia, anzi peggio” è un’eventuale miglioramento della legge 243/2012, nella sua parte che si riferisce agli enti locali. Leggendo quanto egli scrive, il lettore ne ricava facilmente l’impressione che la disciplina approvata negli ultimi giorni del governo Monti sia quanto di meglio si possa immaginare in termini di regole fiscali efficaci e giuste, e che il governo Renzi – ansioso di fare la fine della Grecia – ne voglia fare carne da macello, per tornare ad un mondo in cui gli enti locali possono nutrirsi di debito e disavanzi senza colpo ferire. Rappresentazione suggestiva, quella del Professor Rossi. Peccato sia, però, totalmente fuorviante. Quella legge (art.9 -12) prevede che il 1 gennaio entri in vigore un sistema di regole fiscali con due sostanziali caratteristiche: i) comuni, province e regioni devono rispettare contemporaneamente ben otto saldi non-negativi: quello di parte corrente, e quello complessivo tra entrate finali e spese finali. Ciascuno di essi sia di competenza che di cassa, e sia a preventivo che a consuntivo. ii) nel tentativo di importare anche a livello locale il meccanismo di regole strutturali (=aggiustate per il ciclo economico), la stabilizzazione ciclica farebbe il suo ingresso anche nei bilanci degli enti locali: quando l’economia italiana cresce meno di quanto potrebbe, lo Stato riconosce che il comune di Enna e la Regione Friuli Venezia Giulia incassano meno imposte, e quindi corrisponde loro la differenza. Se l’economia nazionale invece cresce più del potenziale, lo Stato avoca a sé risorse dal Comune di Bari e dalla Provincia di Pisa, per il motivo opposto. Davvero il sistema sopra descritto è il Paradiso delle Regole e un suo eventuale affinamento equivale all’Inferno della Spesa senza Limiti? Il primo punto cura il mal di testa con una decapitazione.
Se infatti le regole attuali (basate essenzialmente sul vincolo del Patto di Stabilità Interno) non hanno funzionato a dovere, siamo sicuri che la soluzione migliore sia passare da un vincolo a otto – alcuni ridondanti, impossibili e ininfluenti ai fini delle regole europee - anziché sostituirlo con uno efficiente, efficace e maggiormente coordinato con la finanza pubblica nazionale? Per quanto riguarda il secondo punto, è difficile pensare che chi l’ha scritto abbia piena familiarità con il funzionamento pratico dei bilanci degli enti locali. Poniamo che Pil italiano cresca più del potenziale ma che a trainare la ripresa sia solo la parte Nord-Ovest del Paese. Secondo la legge 243, lo Stato dovrebbe drenare risorse non solo al Comune di Torino (che è nella zona d’Italia che cresce “troppo”), ma anche a Roma o a Ancona; e per calcolare quanto deve togliere, occorre capire come il gettito delle imposte sul reddito (ma anche quelle sulla pubblicità, l’occupazione di suolo pubblico, o l’Irap) viene avvantaggiato dal fatto che l’economia (a livello nazionale, ma non necessariamente locale) cresce più del potenziale. Tutto questo in una situazione in cui già l’articolazione dei rapporti finanziari attualmente esistenti (il Fondo di Solidarietà Comunale e il Fondo Sanitario) è particolarmente complessa. Ma se l’obiettivo di fondo è avere un sistema di vincoli semplice, utile e rigoroso, quale altra soluzione è teoricamente possibile? Quest’anno è entrata in vigore l’armonizzazione contabile, che introduce nei bilanci degli enti locali il criterio della “competenza finanziaria potenziata”, un criterio che approssima molto il concetto di “competenza economica” utilizzato da Eurostat per calcolare l’indebitamento netto della PA (la misura su cui si calcola il famigerato limite del “tre per cento” del rapporto deficit/Pil). Allora la soluzione non è passare dal Patto di Stabilità a otto vincoli; forse è, semplicemente, adottare per la prima volta l’unico vero vincolo di flusso che conti: quello che rappresenta il contributo della regione X o del comune Y alla formazione del deficit della Repubblica, espresso sotto forma di saldo tra entrate finali e spese finali, contabilizzate secondo il nuovo criterio della competenza finanziaria potenziata
[**Video_box_2**]La fissazione dell’obiettivo numerico da rispettare – se proprio si vuole evitare il “semplice” pareggio nominale – può poi riflettere la posizione ciclica dell’economia: se occorre stimolare di più la spesa, può essere posto un obiettivo negativo (spese superiori alle entrate); se al contrario il ciclo positivo, o le esigenze di finanza pubblica, dovessero richiedere un contributo al comparto degli enti locali, l’obiettivo può divenire positivo (entrate superiori alle spese). Il tutto viene ancora meglio se si fanno due cose di contorno ma fondamentali. La prima è la rimozione di tutti i vincoli intermedi: se ogni ente locale ha come vincolo lo stesso dello Stato, non ha senso che quest’ultimo imponga al comune anche quanto può spendere in pubblicità, in locandine, in formazione professionale o in penne: faccia quello che vuole, basta che rispetti l’unico vincolo che conta. La seconda, ovviamente, è l’archiviazione definitiva della stagione delle proroghe (ad esempio all’approvazione dei bilanci di previsione) e dell’ammorbidimento delle sanzioni per chi sfora i vincoli: se lo Stato scommette su autonomia e responsabilità – e al contempo su un sistema di vincoli semplice e chiaro – è anche giusto che chi sbaglia paghi, senza se e senza ma. Per Nicola Rossi ipotizzare di migliorare e rendere più cogenti il sistema dei vincoli di politica fiscale cambiando la legge 243 equivale ad affermare che lo “spirito riformatore del governo si è esaurito”, e che “cambiare questo paese lì dove avrebbe più disperatamente necessità non è un tema all’ordine del giorno”. Noi la pensiamo diversamente. Crediamo che il riformismo vero non possa mai cedere alla tentazione della conservazione ma neanche a quella del cambiamento “tanto per cambiare”, dettato da parole d’ordine improvvisate o non ottimali. Un governo riformista non abbandona la sfida del cambiamento neanche quando si vuol far credere che il cambiamento sia già avvenuto.
Ci scrivono Gianclaudio Bressa (Sottosegretario agli Affari Regionali) e Luigi Marattin (Consigliere economico del Presidente Renzi)