Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Di Maio, Salvini e il partito degli ex scravattati, emblema dell'uomo sòla al comando

Claudio Cerasa
Quelli che partono intransigenti, promettendo di conquistare allegramente il mondo senza indossare la cravatta, ma che poi tornano dialoganti, stringendosela bene al collo.

Per essere coerenti bisogna essere intransigenti. Se sei intransigente rischi però di essere irrilevante. Se non vuoi essere irrilevante devi essere dialogante. Ma se non sei intransigente non sei più credibile e dunque semplicemente non esisti più. L’incarnazione plastica di una delle grandi contraddizioni politiche dei nostri giorni è un nuovo partito politico all’interno del quale coesistono a vario titolo una serie di leadership che rientrano perfettamente nella definizione dell’uomo sòla al comando. Il partito in questione è quello degli scravattati e il paradosso di questo partito è che tutti i componenti hanno lo stesso problema: promettono di conquistare allegramente il mondo senza la cravatta ma quando poi ci si avvicina al potere, o quantomeno lo si annusa, lo si alliscia, tutti sono costretti a smentire se stessi, arrivando a stringersi il nodo della cravatta sul collo in modo letale. In questo partito, per restare solo all’Italia, un ruolo importante lo hanno Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

 

Il primo, tenerissimo, ha fatto la sua ottima figura la scorsa settimana quando, dall’alto del suo essere un leader del popolo che si batte senza cravatta contro l’Italia dei padroni, si è presentato nel salotto del popolo di Cernobbio (risate) indossando una graziosa cravatta per essere in sintonia con la cornice di potere. Il secondo, sul quale ci vorremmo brevemente soffermare, tra gli uomini sòla al comando costituisce un caso di studio particolare che merita di essere approfondito. Si potrebbe ironizzare molto che un vaffanculo con la cravatta resta sempre un vaffanculo e che essendo il vaffanculo il cuore della costituente grillina non c’è cravatta che possa trasformare il messaggio. Ma il fatto nuovo è che i grillini hanno capito che il solo modo per contare qualcosa è smentire in qualche modo se stessi e la smentita più clamorosa e forse più spassosa della propria costituency è una e riguarda la democrazia diretta. Ricordate, no? Er popolo deve governare. Noi siamo dei portavoce. Rappresentiamo la ggente. Siamo solo dei tramiti. Dei trasmettitori di un messaggio più grande che è quello dei cittadini. Altre risate. Nel giro di pochi mesi anche i grillini hanno capito che al popolo bisogna far decidere e ratificare solo quello che il partito ha già deciso di fare e che non può esistere alcun partito credibile, diciamo così, se non ci si assume la responsabilità di decidere – e se non si prende atto del fatto che quello che in molti chiamano democrazia del popolo altro non è che un veicolo per far transitare l’isteria collettiva.

 

[**Video_box_2**]Il primo assaggio del nuovo corso grillino lo si è intravisto qualche mese fa, a novembre, quando il popolo della rete non ha scelto i nomi dei “portavoce” a cui affidare la guida del Movimento ma ha semplicemente ratificato (ancora risate) la scelta dei cinque deputati selezionati da Grillo e Casaleggio. Con Di Maio, che al Movimento 5 stelle sta più come Alfano stava al Pdl, andrà più o meno allo stesso modo e sarà difficile che il popolino grillino possa scegliere come candidato premier qualcuno che non sia stato già scelto dalla ditta Casaleggio. E il problema di Grillo, Di Maio, Salvini, che poi è anche il problema degli altri scravattati alla Corbyn e alla Iglesias, è dunque quello che dicevamo. E’ la legge degli scravattati: per essere coerenti bisogna essere intransigenti. Se sei intransigente rischi di essere irrilevante. Se non vuoi essere irrilevante devi essere dialogante. Ma se non sei intransigente non sei più credibile e alla lunga, se i tuoi avversari non fanno sciocchezze, tu semplicemente non esisti più.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.