La riforma del Senato è davvero un affronto alla democrazia? Appunti per una scissione nel Pd
Al direttore - Non è prevedibile come finirà la riforma del Senato. Spero, fino all’ultimo, in un sussulto unitario del Pd. E condivido, comunque, la decisione di Renzi di andare in Aula con il provvedimento. La schermaglia e i rinvii sono stati già troppi, come è abitudine nella politica italiana. Non voglio entrare nel merito della contrapposizione. Rilevo solo che la sinistra italiana è stata sempre, direi storicamente, contro il bicameralismo perfetto, o per un Senato delle autonomie. Ma ora si solleva un drammatico problema dell’equilibrio dei poteri; si teme una sorta di dittatura del premier; si invoca il mantenimento di una prerogativa dei cittadini (già espropriati delle preferenze, anche queste viste dalla sinistra di un tempo come fumo negli occhi). Qui, per me, lo sconcerto è grande. Davvero, al di là delle legittime opinioni diverse, il modo di eleggere il Senato merita una guerra atomica, definitiva, così accanita? Non scherziamo. La democrazia del nostro paese è stremata dal ’92 in poi, perché distrutti i vecchi canali di rappresentanza tra cittadini e potere (i vecchi partiti di massa arrivati allora al disfacimento) nel campo democratico non c’è stato alcun tentativo serio di cercarne di nuovi, adeguati alle trasformazioni del tempo. Sono stati messi in campo tentativi: l’Ulivo, il primo Pd. Naufragati per ragioni interne e per tornare, sostanzialmente, ai vecchi involucri. L’astensionismo è diventato strutturale; la Lega aumenta i voti; Grillo tiene con enormi livelli di consenso; Berlusconi dà ancora molte carte; il Pd da anni è dilaniato da correnti, dominato da oligarchie nazionali e locali, coinvolto in inchieste giudiziarie che fanno intuire che le pratiche corruttive investono la sinistra in tutta Italia, non solo dove vengono scoperchiate. Bene. Ripeto: la priorità per il nostro futuro sono i meccanismi elettivi del Senato? O che Renzi decide troppo? Non ho sentito una parola vera, una proposta, un moto di sdegno, una seria volontà di autoriforma da parte di molte vestali del “bilanciamento” dei poteri, in questi anni, in merito alla necessità di stroncare il correntismo, di reinventare forme di democrazia degli iscritti sui temi principali riguardanti il paese, di rifare da zero in tutta Italia il tesseramento, di bonificare gruppi dirigenti impresentabili. Potrei continuare. Insomma, la sola riforma che sta tutta nelle nostre mani, quella del partito, non pare al centro dei pensieri. Anzi: si chiede più potere alle varie cordate, si agisce come un partito nel partito, si brandiscono vecchie parole e si danno nuove etichette. Per questa via la vita nuda di tante persone, che in misura sempre minore accettano di indossare gli abiti della sinistra, del sindacato, delle associazioni di massa, delle categorie, per non parlare dei partiti, ci sfugge dalle mani e si disperde nella sua solitudine. Ci vorrebbe un nuovo soggetto democratico in grado di lanciare reti e ricostruire dal basso il senso di una partecipazione e di dare più potere ai cittadini? Reinventare, cioè, una fase costituente della Repubblica, partendo dalla base della piramide. Il duello finale, invece, si gioca nei livelli alti, di una impalcatura che rischia di sprofondare con tutti i suoi dibattiti e le sue riforme. Quelli così vigili rispetto alle prerogative istituzionali (e proprie) e alle compensazioni tra poteri apicali, paiono essere “sonnambuli” rispetto al cuore dello sfascio che si è prodotto nella democrazia, e che investe anche il Pd. Così, purtroppo, la politica, allontanadosi dal conflitto reale, non può che trasformarsi in ideologia, che irrigidisce ogni problema particolare, incarognendolo nel più particolare ancora.
Goffredo Bettini, eurodeputato Pd
Il vero problema a me sembra questo. La riforma passerà, in un modo o in un altro. Sarebbe stato preferibile abolire il Senato, altro che elettività, e questo lo sappiamo. Ma ciò che si fa fatica a capire invece è questo: chi nel Pd ha considerato questa riforma un grave affronto nei confronti della democrazia, in caso di vittoria di Renzi come potrà far finta di nulla e accettare di rimanere in un partito guidato da chi ha messo in campo un grave e inaccettabile affronto alla democrazia? Delle due l’una: o la riforma non è inaccettabile oppure era inaccettabile dire che la riforma era inaccettabile per la democrazia. Occhio con le parole in politica: si rischiano figuracce.