Minority report
Perché, nonostante tutto, gli italiani si dividono ancora tra sinistra e destra
Si dice che le ideologie siano crollate dopo la caduta del muro e che non esistano più destra e sinistra. Che cosa è di destra? Che cosa è di sinistra? Forse il culatello e la mortadella, come diceva Gaber? I M5S ne hanno fatto un nuovo dogma: destra e sinistra sono uguali. L'idea del Partito della Nazione lo afferma all'opposto, per governare. Molti lo sostengono in modo cinico o strumentale, per continuare a fare affari con chi ha il potere o per stare tranquilli nel non opporsi alla maggioranza.
Eppure, guardate i sondaggi di Pagnoncelli della settimana scorsa e qualche domanda vi verrà. Il PD è al 33,5 per cento, se sommate FI, Area popolare, Fratelli d'Italia e Lega arrivate intorno al 32. Quasi pari, di nuovo. Eccetto il 3 e qualcosa di SEL, i rimanenti votano Grillo. Dunque, siamo ancora lì: giratela come volete, ma gli italiani, indifferenti alle giravolte dei partiti, si dividono così da settant'anni, salvo brevi eccezioni di momenti particolari. Non conta che ci sia il premier di sinistra più di destra che si sia mai visto, che il M5S abbia dimostrato stile leninista, che Salvini posi seminudo su qualche rivista, e nemmeno che ci sia un Papa che scombina le carte utilizzando certi temi classici della sinistra. Cambiate tutto e tutto rimane uguale. Come mai? Non erano finite le ideologie?
Forse, solo quelle ufficiali. In realtà, gli esseri umani tendono a essere ideologici per natura (Grossman docet), è la loro forza e la loro debolezza. Che sia la loro debolezza è stato ben mostrato dai totalitarismi del Novecento, ma è purtroppo una constatazione di tutti i giorni. Per essere ideologici basta identificare un idolo e derivare deduttivamente delle conseguenze. Si può essere ideologici su tutto: dalla famiglia al calcio, dalle liti di lavoro alla scelta del luogo delle vacanze.
D'altro canto, le ideologie hanno anche dentro una forza, delle intuizioni ideali. E, a prescindere dalla deriva ideologica, quelle non si perdono. Così per i partiti: l'intuizione che sta alla base dei cosiddetti partiti conservatori è il privilegio dato alla persona singola sullo Stato e la considerazione che non vi è libertà senza ordine (Metternich!). Quella che sta alla base della sinistra è che l'organizzazione sociale deve risolvere il problema delle persone in modo equo e che la libertà sia questione di lotta contro ordini opprimenti.
La maggior parte dei "terzi" sono persone di destra o di sinistra che vedono deluse queste aspettative profonde e sperano di farle rivivere mandando tutto il già costituito a mare o a monte.
Comunque interpretate e con infinite variazioni, le nostre intuizioni-base si trovano nel centro dell'educazione di ciascuno; come le squadre di calcio, generano appartenenza e, prima ancora che un pensiero, un modo di sentire i problemi. E’ un modo immediato, quasi irriflesso, ma esiste: discutete sui migranti, sui matrimoni gay, sugli 80 euro da dare (cioè sugli argomenti sensibili!) e vedrete le due intuizioni del mondo prendere forma davanti a voi, generando due appartenenze, inevitabili e tenaci come tifoserie. Certo, poi ci sono alcuni intellettuali che richiamano al pensiero critico e qualche anima bella che si barcamena cercando un dialogo di anime belle. Ma sono tentativi che, quando non sono solo strumentali per ottenere vantaggi più grandi per sé, sono numericamente irrilevanti e, alle volte, così ingenui da essere patetici. Il sondaggio di Pagnoncelli mostra che, anche se i grandi giochi si fanno altrove e gli Stati nazionali stanno tramontando, e anche se i partiti li rappresentano poco o nulla, gli italiani continuano a schierarsi secondo quelle simpatie profonde.
[**Video_box_2**]Coraggio, non è fine ma bisogna ammetterlo: destra e sinistra, conservatori e progressisti sono ancora lì, con i loro pregi e difetti reciproci. In fondo l'Italia più interessante è quella che delle differenze non ha paura, che sa che il dialogo vero e fecondo si fa quando ciascuno è convinto di cuore delle proprie ragioni, che se uno recupera l'aspetto ideale delle proprie ideologie si potrà trovare non un compromesso teorico ma una via pratica di accettare vittorie e sconfitte. Don Camillo e Peppone, contrariamente a certe interpretazioni, non si mettono affatto d'accordo, ma gareggiano. Finisce che don Camillo ha quasi sempre ragione e, quando non ha ragione, interviene il Cristo dell'altar maggiore, che ha ragione di sicuro. Solo che i due protagonisti sono sinceri tanto nel competere quanto nell'accettare sconfitte e correzioni della realtà. Così sono i dialoghi veri, quando sotto ogni cosa c'è il proprio desiderio di bene, francamente sostenuto in tutte le sue accezioni, anche quelle sbagliate, ma sopra ogni cosa c'è la possibilità che nell'esperienza, prima o poi, emerga la verità. In un periodo così confuso,dove i grandi giochi sono molto sopra la testa delle persone, forse si vince solo come nel gioco della settimana enigmistica: scoprendo le differenze e mettendole in luce. Senza camuffamenti, con molta ironia e molta simpatia per appartenenze, preferenze e sbagli.