La disfatta dei nemici di Renzi e Berlusconi
Non mi oppongo – tra l’altro come titolare del copyright sulla continuità dei due “fenomeni” non potrei proprio – quando si dice che Renzi fa le stesse cose che faceva Berlusconi, che i due sono simili per molti aspetti, che la sostanza politica e culturale è quella nonostante il discrimine tradizionale destra-sinistra. Da ultimo è arrivato il buon Carlo Freccero: la critica di Matteo ai talk-show, sostiene, è come l’editto famoso di Sofia con cui furono proscritti Santoro & co. Ma prima di lui, in generale e nello specifico, in tanti hanno ripetuto la stessa cosa: per il segretario della Fiom Maurizio Landini e mille altri leader della sinistra più radicale, ecco, il Jobs Act lo avrebbe potuto fare Berlusconi. La riforma del Senato, a parte il pericolo di svuotamento della democrazia (anche questa già sentita), è tipica della cultura corrosiva della tradizione costituzionale incarnata, prima di Renzi, dal suo predecessore, almeno secondo il partito dei costituzionalisti d’assalto. E così per le slide, per il partito “padronale”, per le intercettazioni, per le ragazze in politica, per la comunicazione disinvolta e lo storytelling col motore sempre acceso, per i rapporti con le imprese che cercano di fare reddito e profitti, per il governo del fare, per la scanzonata irrisione dell’impotenza della sinistra vocale o parolaia, per l’ottimismo coatto e una certa autostima da self made man. E per tante altre cose.
Ora vorrei proporvi un gioco, senza troppo impegno, ma con un fondo di serietà ludica. Ve lo dico io che ho definito Matteo “il royal baby” nella dinastia di cui il Cav. è il capostipite. Bè, i due sono molto diversi. Due tipi più diversi an-tro-po-lo-gi-ca-men-te non li si può immaginare. Pensateci. Non lasciatevi stregare dai miei sofismi sulla continuità. Uno è un imprenditore entrato in politica nei suoi cinquanta anni inoltrati, era amico di Craxi, l’altro fa politica fin da piccino e ci vorranno quindici anni perché raggiunga l’età del debutto del principiante suo predecessore, che ha fatto un pezzo di storia d’Italia, ed è amico di Lotti. Uno è un libertino, l’altro un boy scout. Uno aveva il famoso conflitto di interessi come imprenditore della comunicazione televisiva, l’altro è stato al massimo candidato alla “Ruota della Fortuna”. Uno ha generato una cosa che non esisteva, la destra italiana, dalle ceneri della Prima Repubblica; l’altro ha rigenerato una cosa che stava per cessare di esistere, la sinistra democratica italiana, rottamando la vecchia oligarchia. E si potrebbe continuare con infiniti elementi di sostanza e di stile che, stavolta, dividono le due personalità, le distinguono per segno e per significato.
[**Video_box_2**]Però hanno gli stessi nemici. E ogni cosa che il royal baby riesce a fare, nel solco e talvolta anche meglio del suo augusto papà, riceve esattamente le stesse critiche, egualmente motivate, sempre cadenzate sulle stesse note e disarmonie della crisi della democrazia, dell’attacco alle libertà civili, dell’indifferenza arrogante verso le leggi del dialogo e della solidarietà con i più deboli. Proviamo allora, almeno per gioco, a dirla così: ma se i due sono anche così diversi, e realizzano o perseguono le stesse cose, cioè una riforma dello Statuto dei lavoratori, il superamento della faziosità bestiale della televisione di malaparola, un Parlamento efficace e diversificato nelle funzioni e nei poteri di ciascuna Camera, e se pur diversi come sono tutti e due usano le slide per spiegarsi, se hanno partiti di follower e non di correnti, se difendono la privacy dall’origliamento di sistema, se promuovono giovani donne, se coltivano il made in Italy, se si presentano come persone pratiche e irridono le astrattezze ideologiche della vecchia sinistra in nome dell’ottimismo nazional-popolare, bè, non sarà che queste scelte hanno qualche giustificazione oggettiva al di là del consenso che le circonda e le ha circondate?