Addio Marino. Ora che farà Renzi?
Marino si è dimesso. L’assenza di una Leopolda a Roma. Niente paura delle elezioni: non è vero che Grillo vincerà le elezioni anche candidando un manico di scopa – di Mario Sechi
Ecco la nota con la quale Ignazio Marino annuncia le sue dimissioni
Marino si è auto-affondato. Era da mesi poco più che un rottame galleggiante, alla deriva. S’è inabissato, vittima del suo scontrinismo bugiardo, un Pinocchio minore, senza la grandezza letteraria del Collodi. E’ rimasto nella pancia della Balena, senza Geppetto, la Fata Turchina e gli amici burattini al seguito. Nessuno sentirà la mancanza di quella favola storta che s’era trasformata in un racconto tenebroso privo del tocco poetico di Tim Burton. Un incubo.
Immagino la faccia di Matteo Renzi quando ha letto le ultime dichiarazioni del sindaco (“restituisco tutto”) e il rosario tragicomico di testimonianze impaginate dai quotidiani sulle sue spensierate ore a tavola. Chez Marino. Da Palazzo Chigi è schizzato un messaggio definitivo, una cartolina: “Ciao caro”. Tanti saluti, pratica archiviata, Roma ha duemila anni di storia, è sopravvissuta ai Vandali, ma non poteva permettersi più Marino con un Giubileo alle porte.
Il presidente del Consiglio ha fatto la cosa giusta. Renzi per mesi ha resistito alla tentazione di assestare una pedata al sindaco, ha ascoltato i consigli dei parlamentari della Capitale, ha sopportato il crescente imbarazzo per le esternazioni fuori tempo, luogo e spazio del primo cittadino, gli ha affiancato il prefetto Gabrielli, messo a disposizione la macchina di Palazzo Chigi. Ha cercato di attutire il danno, prendere e concedere tempo, serrare le fila. Un impegno – e una generosità – che Renzi non aveva concesso a nessuno. Tutto inutile. Solo gli allocchi potevano pensare alla vittima di un complotto. Marino non era il bersaglio di nessuna congiura, era semplicemente, inesorabilmente unfit, un incapace, il figlio di un equivoco politico, lo scarto di lavorazione di una fabbrica che ha bisogno di essere rimessa a posto: il Pd romano.
La defenestrazione di Marino è un passo salutare. Un bagno di realtà per tutti. E una straordinaria occasione per ricostruire dalle fondamenta il centro da cui si dirama tutto il potere: Roma. Il Partito democratico di Renzi ha una leadership solida, può permettersi la traversata nel deserto Capitale. E le settimane che precedono le ormai ineludibili elezioni saranno il laboratorio per cominciare a fare cose nuove.
A Roma, caro Renzi, manca una Leopolda. C’è un tremendo bisogno di discutere, mettere insieme le idee, ricostruire il puzzle della politica. Non un happening in terrazza – quello nell’Urbe c’è tutti i giorni della settimana e posso fornire la lista completa dei partecipanti – ma un’officina politica dove si sente il clangore del metallo. A sinistra e al centro e a destra c’è gente in gamba che può dare buoni consigli e sta cercando una casa dove far emergere il talento. Hanno un solo grande interesse: Roma.
E c’è un modello che a Roma ha funzionato, ha sfornato una classe dirigente giovane e determinata che oggi è al governo al suo fianco, presidente, è quello che Francesco Rutelli forgiò con pazienza e umiltà in anni che oggi appaiono di tutt’altro spessore rispetto a quelli che stiamo vivendo ora nella Capitale. Non fu un’operazione facile, allora. Rutelli non era un figlio del Pci, era già oltre, dove lei è oggi. Ma Rutelli ebbe l’intelligenza di fare squadra, lanciare giovani, portare a Roma un po’ di futuro e buonsenso. L’amministrazione non era la schifezza che oggi tortura i cittadini e perfino il traffico, la tortura di tutti noi, aveva un volto quasi umano. Solo un arrogante dilettante allo sbaraglio come Marino poteva rifiutare l’aiuto che Rutelli offrì poco tempo fa al Campidoglio in occasione del Giubileo.
[**Video_box_2**]A quelli che nel partito invocano le primarie do un modesto consiglio: non vi è bastato? Volete allevare un altro campione come Marino? Goffredo Bettini, uomo che ha cultura politica, sa bene di cosa parlo. E’ l’ora di fare due passi indietro, tutti, per farne quattro avanti. Al Pd serve un candidato in gamba, un team di persone che mette nero su bianco un programma per la Capitale. Gli alleati? Non i residuati bellici della sinistra parolaia, non le tartine terrazzate della “società civile”, ma persone che conoscono la città, ne respirano l’aria dalla mattina alla sera, la amano e non la vogliono lasciare in mano a un’accozzaglia urlante di partiti. I soliti noti? Si levino la cravatta, mollino il calice, lavorino gratis e corrano a testa bassa. Non ci stanno? Pazienza, è giunto il momento di voltare pagina. Non è vero che a Roma la partita è già chiusa. Non è vero che Grillo vincerà le elezioni anche candidando un manico di scopa. La destra romana, un tempo forte e organizzata, è poco più di un cumulo di macerie fumanti, intossicata dalla salvinizzazione. E Alfio Marchini che fa? Si allea con un centrodestra senza capo né coda, anti-tutto, senza un progetto politico, con i leghisti forconizzati? Non ci posso credere. Nessuna di queste opzioni elettorali è una scelta di governo. E’ un urlo senza domani. E Roma è cinica, pragmatica, più saggia di quanto si immagini. I giochi non sono fatti, sono appena cominciati.