Modalità “Renzie”
Cosa funziona (tasse) e cosa non funziona (spesa) nella manovra espansiva
Roma. Un Matteo Renzi tornato alla modalità “Renzie”, con annesse slide e “25 tuìt di buone notizie”, ha presentato la legge di Stabilità dopo un Consiglio dei ministri di un’ora e mezzo. A giustificare il buonumore c’è che si trattava di annunciare una manovra centrata sulla riduzione delle tasse: dalla sparizione della Tasi su prime case, terreni agricoli e macchinari (5 miliardi) al super-ammortamento del 140 per cento degli investimenti in beni strumentali (0,8 miliardi), all’aumento dell’area di esenzione per i pensionati, fino all’azzeramento dell’aumento di Iva e accise come clausola di salvaguardia contrattata con l’Europa a garanzia del pareggio di bilancio (16,8 miliardi). Totale, tra sgravi e aumenti scongiurati, 22,6 miliardi; il che dovrebbe portare la pressione fiscale 2016 intorno al 42 per cento del pil, rispetto al 43,2 rilevato dall’Istat a inizio ottobre. A contribuire dovrebbero essere anche gli 80 euro trasformati da bonus (voce di spesa) a sgravio vero e proprio; e l’anticipo dal 2017 al prossimo anno della riduzione di 3,5 punti di Ires sulle imprese. Il governo la farà scattare se la Commissione Ue riconoscerà all’Italia un’altra clausola, stavolta di quelle di flessibilità, per l’emergenza migranti. Ne ha già beneficiato l’Austria, e per l’Italia sarebbe pari a 3,3 miliardi.
La lettera di richiesta parte oggi a firma Pier Carlo Padoan, “e attendiamo istruzioni” ha detto in modo spiccio il ministro dell’Economia, mentre il premier ha ripetuto che “le regole europee l’Italia le rispetta tutte”. Il che sottintende un’operazione più sottile sottostante alla manovra: il governo dà per scontato – o meglio darà battaglia – che non verranno rimesse in discussione le altre flessibilità già concesse l’anno scorso rispetto al percorso di azzeramento del deficit, motivate dalla congiuntura negativa e dalle riforme fatte.
Questa, subito dopo il consenso popolare che conta di strappare (come fu per gli 80 euro) con l’eliminazione della Tasi, è probabilmente la molla che spinge Renzi a riproporre il modello “Renzie” di un anno fa, con le trovate pop (“la manovra è in versione base e accessoriata”), gli aneddoti sul Consiglio dei ministri (“al nome di De Gasperi i democristiani del governo si sono alzati in piedi”) e i siparietti con “Pier Carlo”, utili anche a smentire le voci di attrito fra i due, se ce ne fosse bisogno.
Del resto, poco prima, del nostro governo aveva parlato da Bruxelles il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, criticando il fatto che l’Italia riducesse le tasse sulla casa e non sul lavoro. Bene: anziché ripartire lancia in resta sulla linea “dove e come tagliare le tasse lo decidiamo noi e non i burocrati europei”, Renzie & Pier hanno derubricato la cosa a “comunicato del portavoce del commissario”, aggiungendo a cura del ministro che “l’Italia abbatte le tasse sulla casa ma anche sulle imprese”. Ma soprattutto Renzi e Padoan cercheranno di sfruttare lo sbandamento nel quale sono piombati sia la Commissione sia il nucleo di paesi ortodossi. Perfino la Spagna, finora eurorigorista e fedele a Berlino, si ribella al preavviso di bocciatura della sua manovra. Mentre altri che hanno applicato l’austerity segnano il passo, Olanda e Austria, o sono in recessione, la Finlandia. Per non parlare delle grane della stessa Germania. Naturalmente la posizione non più di estrema forza come un tempo della Germania potrà aiutare a generare una maggiore disponibilità o al contrario un ritorno all’ortodossia europea, che normalmente piace all’opinione pubblica. Comunque sia, la manovra italiana accanto alle “25 buone notizie” allinea alcune evidenti debolezze.
[**Video_box_2**]I tagli alla spesa pubblica si sono ridotti a 5 miliardi, provenienti da risparmi nella Pubblica amministrazione (e la riduzione futura da 8 mila a mille delle partecipate locali, per ammissione del premier, “non influiranno significativamente”); Renzi ha confermato i contrasti con Roberto Perotti, docente bocconiano e consigliere di Palazzo Chigi per la revisione della spesa, sul piede delle dimissioni. Il premier ne ha dato una spiegazione anche logica: “Mi ha proposto 4 miliardi di risparmi di detrazioni fiscali, il che avrebbe fatto dire che le tasse tagliate dalla porta rientrano dalla finestra”. La questione successiva, però, è che se la riduzione della pressione fiscale sarà, come promesso, strutturale e progressiva, questo significa che altrettanto strutturale sarà l’impossibilità di disboscare le detrazioni. Mentre sul resto della spesa sta prevalendo l’idea di considerare nell’immediato i tagli come un fattore recessivo, almeno finché la ripresa non sarà consolidata. Certo, con alcune eccezioni, come i poteri di spesa ridotti alle regioni, a cominciare dalla Sanità.
L’altra incognita sono le coperture da trovare nel 2017 per alcune voci già ipotecate, a cominciare dalle solite clausole di salvaguardia sempre con aumento di Iva e accise, scongiurate per ora ma che tra quattordici mesi si ripresenteranno pari a 25,4 miliardi. E’ il rischio di una manovra da 27 miliardi (“la versione base”), espansiva sì ma finanziata quasi interamente in deficit, e quindi tendenzialmente destinata ad accrescere il debito pubblico, o meglio il suo rapporto con il pil. Renzi però dice che dal 2016 l’indebitamento scenderà “dopo nove anni”, il che è confermato anche dalle stime non solo governative, ma anche del Fondo monetario internazionale e dell’Ocse (un po’ meno convinte le agenzie di rating, che non sembrano voler migliorare le loro pagelle). Motivo: “Si scrive legge di stabilità ma si traduce legge di fiducia” promette Renzi nei panni di Renzie. Ovvero: il pil deve effettivamente superare l’1,5 per cento, raggiungendo più o meno la Germania. Insomma, deve davvero arrivare la ripresa. Una scommessa, seppure calcolata, però; non una certezza.