Gulp, il golp! Appunti sul gombloddo
Gulp, il golp! Sarebbe bello farsi una risata, fingere che non sia successo nulla, fischiettare allegramente pensando ad altro e commentare con un sorriso le parole consegnate ai cronisti martedì pomeriggio dal gruppo dirigente di Forza Italia, poco prima che in Senato intervenisse l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sarebbe bello ironizzare come quattro amici al bar e dire che no, dai, hanno solo alzato un po’ il gomito, la storia del golpe di Napolitano è una posa politica che si spiega solo con una condizione difficile, disperata, di un partito che vede ogni giorno prosperare un fenomeno di fronte al quale è comprensibile avere dei momenti di cedimento, persino di depressione: un partito che si sgretola, con vecchi amici che si sfilano, con un’impotenza parlamentare sotto gli occhi di tutti e con un avversario che ogni giorno si infila sulla testa il passamontagna per rubacchiare non solo senatori ma anche molte idee intorno alle quali era nato un partito che si chiama(va) Forza Italia. Ci sarebbe dunque da ironizzare e da riderci sopra e pensare che la parola “golpe” è stata utilizzata un po’ per sconforto e un po’ per disperazione e un po’ per coccolare l’inconsolabile Brunetta – e se fosse così questo articolo potrebbe concludersi anche qui, con un sorriso, una battuta, un gulp al posto del golp. Purtroppo le cose non stanno così e l’idea che nel 2011, in Italia, ci sia stato un golpe anti democratico, per far cadere il governo Berlusconi, orchestrato da Giorgio Napolitano con la complicità del nuovo presidente della Bce Mario Draghi e qualche grande speculatore al servizio dei mejo grembiulini d’Italia è un’idea che si è radicata in modo profondo, forse persino sincero, nella testa di Berlusconi, e non solo di Brunetta. Ed è intorno a questa ossessione, a quella del Grande Gomblotto del 2011, che il centrodestra, o quel che ne rimane, prova ogni giorno a suonare la carica e a immaginare un futuro diverso in cui il “popolo tornerà finalmente sovrano”. Gulp! Glielo diciamo con affetto, caro Cav., ma purtroppo la tesi non sta in piedi, e prima se ne renderà conto e prima riuscirà ad aiutare il suo partito a superare The Nightmare 2011. Purtroppo, caro il nostro Cav., il suo partito confonde il sangue e grembiule del “golpe” con il sangue e merda della “politica” e non c’è un solo passaggio nella storia dei suoi passati rapporti con l’ex presidente della Repubblica Napolitano che giustifichi la affermazione. Si chiama politica e non golpe per un’infinità di ragioni legate a quei mesi pazzeschi e drammatici in cui il suo governo finì sotto assedio non proprio all’improvviso – gulp! – ma al termine di un percorso che ha fatto crollare il suo progetto per una serie di fattori che forse vale la pena mettere in fila, prima di arrivare al 2011.
L’assedio giudiziario da lei subito è naturalmente un elemento chiave, fondamentale per capire come è stato possibile arrivare a far dimettere un governo senza che ci sia stato un voto di sfiducia. Ma la giustizia ingiusta è un ingrediente di un cocktail più complesso in cui bisogna infilare tutto. Ci si può infilare la progressiva disgregazione del suo partito, il Pdl, e della sua coalizione (che fai, lo cacci?). La scelta di affidare il ruolo di guida dell’economia del suo governo a un politico competente e colto come il professore Tremonti che aveva però una visione diversa dalla sua, e forse persino un progetto politico alternativo al suo (avercelo avuto un Padoan, caro Cav.), e che le ha reso difficile riuscire a raggiungere alcuni obiettivi che aveva il suo governo (“Giulio Tremonti ha tentato un golpe contro di me”, risulta che abbia detto proprio lei, caro Cav, il 17 settembre 2014 a Palazzo Grazioli durante un incontro con i sindacati di polizia e delle Forze armate). La non capacità di mettere a segno quelle riforme strutturali che non sarebbero state rinfacciate al suo governo nel 2011, nella famosa e tosta lettera della Bce, se solo il suo governo avesse fatto quello che tutti sapevamo che sarebbe stato giusto fare: riforma del lavoro, abolizione articolo 18, contrattazione aziendale, sberle sulla produttività, sulla pubblica amministrazione, e così via. Gli alibi sono tanti, non ci sfugge il fatto che, a differenza di Renzi, al Cav. non è mai stato concesso il fattore C (2001, undici settembre; 2008, crisi finanziaria mondiale), non ci sfugge il fatto che senza le drammatizzazioni su Casoria (gulp, Casoria!) non sarebbe partita la valanga che è partita e non ci sfugge infine il fatto che in quell’estate Napolitano chiese a Mario Monti con anticipo rispetto alla nomina a senatore a vita di prepararsi a guidare un governo tecnico nel caso di crollo del governo eletto (chi non lo avrebbe fatto, al posto di Napolitano?). Tutto questo è chiaro e lo sappiamo bene. Ma c’è un passaggio che rende il golp simile a un gulp forse ancora più delle parole spese dal nostro Cav. dopo l’elezione di Monti a presidente del Consiglio e forse persino più delle parole spese dal Pdl per elogiare l’importanza delle riforme di Monti (“La Fornero deve diventare mia sorella”, disse nel 2012 a questo giornale Daniela Santanchè) e forse persino più delle parole consegnate allo stesso Monti dal Cav. alla fine del governo tecnico (“Caro professore, perché non guida lei alle elezioni il centrodestra?”). Quel passaggio ci fu a novembre, sempre del 2011, quando il golpista presidente della Repubblica Giorgio Napolitano offrì una possibilità che il suo partito purtroppo non colse: scegliere, come suggeriva questo giornale, la strada delle elezioni anticipate piuttosto che sospendere la democrazia e dare il sostegno a un governo tecnico.
[**Video_box_2**]L’offerta di Napolitano ci fu, fu sincera, tutti qui sognavamo di votare sotto la neve, e l’ex presidente della Repubblica non avrebbe fatto mai nascere l’Abc di governo (Alfano, Bersani, Casini, più Monti) se non ci fosse stato anche il sostegno solido e sincero del suo partito. La storia purtroppo è andata così, e forse a un comunista re come Napolitano non si poteva chiedere più di quello che ha fatto. King George in fondo è lo stesso presidente che durante i primi tre anni del suo governo firmò praticamente quasi ogni sua legge. E’ lo stesso presidente che spinse il Pd guidato da Veltroni nei primi tre anni del governo Berlusconi a dialogare con il suo partito per arrivare a mettere insieme alcune riforme condivise. E’ lo stesso presidente che anni dopo ha costretto il Pd a scartare l’ipotesi di un finto accordo con Grillo per formare un governo di grande coalizione con il Pdl anche a costo di sfiduciare il segretario eletto del Pd. Ed è lo stesso presidente che appena un anno e mezzo fa si rese conto che un governo guidato da un suo pupillo, Enrico Letta, non aveva più senso senza l’appoggio, seppure esterno, del suo partito. Renzi, in fondo, a Palazzo Chigi ci arriva anche per questo e ci arriva perché Napolitano sapeva che il segretario del Pd, una volta arrivato al governo, avrebbe avuto, sulle riforme importanti, il sostegno anche del suo partito. Ci sarebbero altre ragioni per spiegare perché il suono del “golpe” è un rumore muto, senza anima, che somiglia più a un’ossessione pericolosa che a un progetto per il futuro. Ma quando gli amici di Forza Italia pensano al complotto e rimproverano a Napolitano di aver giocato con i grembiulini per far fuori la democrazia, si ricordino, i nostri amici, che la democrazia, se fu sospesa, venne sospesa non da Napolitano ma dai partiti che nel 2011 chiesero al presidente della Repubblica di non andare a votare e di dar vita al governo Monti a condizione (Ansa, 15 novembre) che “gli impegni assunti con l’Europa rappresentino il caposaldo” dell’appoggio programmatico del partito al futuro governo. Gulp, il golp!