Grillo sogna il Far West, Casaleggio il governo. Ma in pochi a Imola si aspettano sorprese
Imola. C’è la kermesse nazionale dei Cinque Stelle a Imola e soltanto alla fine del primo giorno si apprenderà che Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, come i Blues Brothers, sono in “missione per conto della democrazia” e vogliono andare al governo senza investire oggi stesso Luigi Di Maio (deciderà la Dea Rete), ma con “il doppio degli iscritti del Pd” e a suon di frasi da film. Il genere è “Ritorno al futuro” con macchina del tempo puntata dritta dritta su un’Arcadia-Far West: superiamo il concetto che sia il lavoro a dare un reddito, dice un Beppe vecchio stile (repertorio del Grillo prima maniera, quello dei teatri). Basta l’alta velocità, basta spostarsi freneticamente, basta petrolio, basta nucleare, basta pure il nome di Grillo nel simbolo, magari. E poi – apoteosi – basta Movimento stesso, perché l’utopia sarà al potere e i cittadini sapranno come fare anche senza logo. Ma già sul treno da Roma, di buon mattino, gli indizi che la giornata andrà in quella direzione ci sono tutti: la coppia di militanti con bimbo piccolo, zaino, giacca di pile e provviste per la serata all’autodromo, abita un po’ a Roma un po’ a Palermo, e lei i Cinque Stelle li conosce da vicino, dice, e sa che “non sprecano e faranno grandi cose”. Lui, in compenso, legge “Collusi” di Nino Di Matteo, e lo consiglia a tutti i vicini, lasciando cadere nel discorso le parole magiche che risuoneranno tra gli stand qualche ora più tardi: onestà, trasparenza, ladri, mafia (manca la parola più usata dai Cinque Stelle a Roma negli ultimi giorni: “Scontrini”). Nel secondo treno, quello da Bologna a Imola, un militante giovane di Reggio Emilia è disposto a dividere il taxi per l’autodromo con l’attivista sessantenne di Napoli che ha appuntamento in hotel con quattro amiche. Entrambi invitano i compagni di viaggio a partecipare alla gara podistica (di auto-finanziamento o di divertimento?) del giorno successivo, “gara dei tre monti”, pare si chiami, e qualcuno dice che “ci sarà anche Beppe”. Si cercano conferme, ma nessuno riesce a sciogliere il mistero del Grillo podista. Anche perché il vero mistero della giornata è un altro, anche detto “la sorpresa”. Che cosa diranno Grillo e Casaleggio dal palco, alle 20 e 40?, si chiedono a ora di pranzo gli avventori del punto ristoro chiamato semplicemente “Acqua” e del baretto della birra chiamato per contrappasso “Trasporti” (c’è anche il manifesto di ragionevole avviso: “Se guido non bevo”). L’albergo dei militanti, il tre stelle sulla strada, un po’ sopraelevato, ha qualcosa che ricorda l’Overlook Hotel di “Shining”, invece dentro si ride, si bevono caffè e si comprano piadine. Fortunati infatti coloro che le prendono fuori dall’autodromo, le piadine: dentro, dopo un’ora di fila, costano 5 euro l’una (ma per il buon motivo dell’autofinanziamento, spiegano i cartelli dietro alla cassa). Se vuoi bere, poi, non puoi certo contribuire a inquinare il pianeta: devi comprare la borraccia allo stand del merchandising e soltanto in un secondo momento potrai riempirla (gratis) dall’erogatore (“a saperlo portavamo la bottiglia vuota da casa”, dice un’attivista da Ravenna).
La sorpresa: si capisce a un certo punto che la sorpresa, per oggi, non potrà essere un’intemerata del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, abbastanza contrariato per il disguido (tecnico o politico non si sa) che ha fatto saltare la riunione con gli altri sindaci prevista per la mattina. Che la sorpresa sia un nome per le amministrative?, dubitano i cronisti. Ma questa speranza evapora man mano che cala la sera. Ci si concentra allora, per esclusione, sul problema “regole per le candidature”: che si tratti di quello? Non v’è certezza, accanto al banchetto in cui si vendono maglie con scritta “Keep calm and M5s al governo” (il tema della manifestazione è appunto “Cinque Stelle al governo”). Un “wishful thinking” che, nell’ultimo periodo, a Roma, nel M5s, è parso più che sfiorabile, visti anche i guai altrui. Ma ogni volta che ci si pensa salta fuori pure il suddetto, eterno problema delle regole: che fare? Aggirarle e candidare Alessandro Di Battista, il frontman che a Imola saluta la folla dal balconcino delle dirette tv e poi si mette a rispondere agli attivisti esacerbati dei meet-up con il collega Roberto Fico? Oppure candidare un nome low profile di un pur stimato consigliere comunale (Virginia Raggi, dicono gli attivisti romani) onde evitare il bagno di realtà e di scocciature e di rischi connessi al governo stesso? Chi governa già, tipo il sindaco Pizzarotti, ne sa qualcosa, ma non è questa la sua giornata (forse domani, ripetono gli intenditori di cose parmensi). Oggi parlano soprattutto i parlamentari nelle agorà, le assemblee con i cittadini all’aria aperta, quest’anno con piccolo palco sopraelevato (cosa che amplifica a intermittenza l’effetto speaker’s corner). I militanti salutano il deputato Stefano Vignaroli e la senatrice Enza Blundo, ma poi, come guidati da una calamita, corrono a cercare Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Eccoli sotto la capannina “Camera e Senato” che rispondono a domande poco udibili (troppe persone con aste da selfie si protendono in avanti). Sono in giacca, pronti per le interviste televisive, e questo è un segno dei tempi al pari dell’altro fatto: stavolta gli attivisti cercano direttamente i cronisti e mostrano volantini con “le cose fatte” e addirittura film prodotti artigianalmente (uno viene presentato al gazebo “Cinque Stelle Veneto”: si chiama “Bandiza-storie venete di confine”, con manifesto crepuscolare rosso e nero).
Nel frattempo i rumori da sound-check e gli effluvi di panini e prosciutto arrostito hanno trasformato l’autodromo in una succursale di una festa country (Imola, sì, ma anche America profonda). Ed è a quel punto che appare evidente la novità antropologica di questa edizione della festa a Cinque Stelle: la prevalenza del grillino del Nord. Perché un anno fa, a Roma, al Circo Massimo, i Cinque Stelle nordici si erano mimetizzati tra siciliani e napoletani in forze e romani curiosi. Ma a Imola sono lì, chi in tuta chi in jeans e quasi tutti con famiglia, con le bandiere e le aspettative: “Noi qui abbiamo lavorato, chieda a Bugani”, dicono (Bugani cioè Max, consigliere a Bologna e testa di cuoio di Grillo e Casaleggio in Emilia-Romagna – è lui a fare i saluti dal palco, è lui che, si dice, potrebbe essere candidato a sindaco di Bologna, padrone di casa di M5s nella regione totalmente rossa che fu).
Dalle agorà, intanto, giunge una voce più forte delle altre – “no alla decapitazione culturale del paeeeese!”, ma l’attenzione della folla non ancora al suo apice (si dirà: sono ventimila, sono diecimila, sono cinquantamila – vai a sapere) è tutta per Roberto Fico e Alessandro Di Battista che, in piedi su un tavolo, tentano di domare i suddetti attivisti dei meet-up. Gli attivisti chiedono, loro rispondono, ma le domande sono sempre le stesse: possiamo usare il logo? E come? E quelli perché lo possono usare anche se non sono certificati? Oppure, passando ai massimi sistemi: che succede se io voto un tizio che poi si rivela avere un enorme conflitto di interessi? E insomma l’attivista di Venezia come quello di Ferrara come quello di Firenze ha la stessa questione scottante da sottoporre ai membri del Direttorio: cambi la città, resta la questione. Però a volte neppure i “portavoce”, spiega Roberto Fico, hanno la risposta. (Da fuori in effetti pare impossibile uscire vivi da quell’assedio di domande frequenti e “casi ricorrenti”, roba che nemmeno nelle istruzioni dell’elettrodomestico di ultima generazione). “Segnalate, però, segnalateci tutto”, dice Fico gentilmente all’attivista più virulento. E’ la guerra dei loghi che si preannuncia? Usateli se avete le carte in regola, dice Fico, poi fatevi le vostre regole, ma che nei vostri obiettivi ci sia qualcosa che rimanda almeno alle istanze lanciate dal blog di Beppe Grillo, è la raccomandazione. Di Battista invece la prende di petto, sempre in piedi sul tavolo: lo si vede da lontano abbassarsi sulla folla dei meet-up come una rockstar dal palco. “Vedremo di risolvere i problemi”, è il concetto. Poco distante, due militanti si aggirano incerottati e bendati per protesta contro i tagli alla Sanità. Ma l’impensabile accade davanti al gazebo Emilia-Romagna: c’è maretta per via di una pila di lattine con le foto di Renzi, Monti, Bersani, Lupi e altri avversari della politica cosiddetta tradizionale. C’è una palla, volendo si può tirare e giocare a buttare giù le lattine: una cosa autoironica, dicono, un gioco “eversivo” ma solo un gioco, tutto qui. Ma l’attivista più grillino di Grillo c’è sempre, ed ecco infatti che viene fuori a dire che no, quella cosa è contraria allo statuto e insomma non si può fare. Surreale? Forse, fatto sta che la pila di lattine a un certo punto scompare.
Ma la sorpresa, la sorpresa qual è? Non sarà una sòla?, questa sorpresa annunciata da Grillo e Casaleggio. Poi sul palco sale Andrea Tosatto, autore di rifacimenti satirici di canzoni e canzonette. Sua la “sigla” di Imola, quel “Lo facciamo solo noi” (strofa cult: “Lo facciamo solo noi/ di difendere l’ambiente / di arrestare il prepotente). Sua anche la versione Cinque Stelle di “La mia banda suona il Rock” (nelle sue mani diventa qualcosa che suona più o meno come “Io in guerra non ci andrò”). C’è anche, per i cultori romani, la versione “Marino/Marino/Marino” della più celebre “Marina/Marina/Marina” (“o mio bel dottore/ ora puoi parlare… /li devi sputtanare /no no no no no). Colmo dei colmi: lui, Tosatto, è anche psicologo e filosofo, vestito da pariolino, e residente a Dubai da cinque anni (grillino estero).
Alle cinque della sera, l’autodromo, sempre più popolato di grillini del Nord con famiglia e cane (ma ci sono anche attivisti in stile rockettaro, tipo ex fan di Vasco Rossi con cappello e stivale, e attiviste più ageés scatenate nelle danze) non assomiglia neppure più alla festa americana country. Qualcuno (un anziano signore in giacca) fa un giro in bicicletta sotto al palco. Si cominciano a srotolare i materassini per il comizio-concerto, facendo confronti: “Preferivi il Circo Massimo l’anno scorso?”, dice al punto ristoro una signora a suo marito, come fosse una cosa che fa parte della vita quotidiana, come una vacanza o una sera al cinema – ed è la voglia di normalità, forse, la cifra nuova.
[**Video_box_2**]Poi sale sul palco la senatrice Barbara Lezzi (presentata da Max Bugani al grido di: “è in dolce attesa, e suo figlio si chiamerà Attila!”). E siccome Lezzi è esperta di economia e siamo al nord (fortunata coincidenza), nel suo intervento parla molto di tasse, carichi fiscali e caccia diseguale agli evasori: i pesci piccoli vengono beccati, gli altri no. Dario Fo invece recita nei panni di due personaggi, il “pontefice e il capo del governo” (Francesco si dimette e Matteo si fa Papa al posto suo). La folla applaude, per poi esplodere quando appare Luigi Di Maio, l’“uno che vale più degli altri” anche se Grillo smentisce (la gente lo cerca, lo addita, si fa i selfie). “Ognuno di voi, qui, è una persona che avrà la sua occasione per provare a cambiare le cose e restare nella storia del paese”, dice un Di Maio motivatore. “Noi vogliamo arrivare nelle istituzioni per ridarvele chiavi in mano”. (Parte il coretto “onestà-onestà-onestà). Pausa musicale, ma solo per introdurre il deus ex machina Gianroberto Casaleggio, più loquace del solito, con scoppola e impermeabile chiari invece che scuri. Anche il suo intervento è teso a far crescere l’ego del Movimento: stiamo crescendo, ci davano per morti invece eccoci qui, vogliamo andare al governo, ci finanziamo noi, e anche se sbagliassimo tutto, peggio dei partiti non potremo fare. Arriva Grillo e gli dice “tu sei il guru, io l’Elevato” (segue repertorio comico su loro due che non c’entrano nulla l’uno con l’altro: Beppe è l’unico che fa ridere Casaleggio e Casaleggio è l’unico che riesce a sintetizzare le idee del Grillo logorroico). “Dobbiamo capire la psicologia delle masse”, è la nuova frontiera del pianeta Gaia, quello dove Casaleggio ci voleva spedire qualche anno fa, in nome del governo smaterializzato degli avatar su Google. Segue altro repertorio grillesco sulle telecamere che lo perseguitano, ma con tono più bonario di uno o due anni fa. Momento magico del discorso, quando Beppe dice “siete figli dell’utopia, mettetevi a sognare tutti insieme così i sogni si avverano” – “questa è carina”, si autocommenta subito ridendo, al vertice del momento “teatro nel teatro”. E la sorpresa? Non c’era, forse, e se c’era nessuno la cerca più.