Come si sgambettano i leader anomali
Ci sono almeno due persone stimabili nell’establishment italiano: Sergio Mattarella e Pier Carlo Padoan. Sono stimabili, per così dire, “per omissione”. Il presidente della Repubblica e il ministro dell’Economia si sottraggono infatti, fino ad ora con pieno successo e rigorosa integrità, a un gioco di ruolo tipico del nostro paese. Non di tutti i paesi, del nostro. Il gioco ha un suo oggetto e sue regole. Oggetto: entrare in lizza per colpire una leadership promettente, che si consolida, che minaccia di durare e di esprimere qualcosa di simile a un progetto (il giudizio di valore su chi la incarna qui non importa, basta che sia una leadership liberaldemocratica legittimata dal consenso popolare e parlamentare). Regole: escogitare e applicare tecniche di destabilizzazione; farlo in consonanza con la cagnara mediatica che riproduce con sonorità devastante le orchestrazioni di poteri che dovrebbero essere neutri e non lo sono (parte ingente della magistratura, alta burocrazia, borghesia imprenditoriale angosciata da ogni forma di disciplinamento repubblicano delle sue pretese spesso avide e nulliste di autonomia dal politico); attuare il disegno proponendosi ed emergendo come alternative di pronto impiego, facendo leva su ruoli istituzionali rispettati e indispensabili e su poteri che possono intralciare qualsiasi cammino politico che pretenda di raggiungere obiettivi durabili nel tempo e nello spazio pubblico.
Per capire la serietà e responsabilità di questo benedetto peccato di omissione, basta ripercorrere la storia delle anomalie di questo paese nel sistema politico e istituzionale. Craxi ruppe il duopolio dei democristiani e dei comunisti, alleandosi in funzione di governo decisionista con i primi e sfidando i secondi a una prospettiva socialista democratica e anticomunista in sintonia con l’ultima fase della guerra fredda prima della caduta del muro di Berlino: fu o tentò di essere uomo di opposizione nel governo e uomo di governo per l’opposizione di sinistra dispersa dalla sua stessa storia. Berlusconi incarnò il maggioritario: fu inconseguente, se vogliamo, e fece indubitabilmente una quantità di errori, ma introdusse tutti i fenomeni di una nuova politica (dall’ideologia della libertà alla comunicazione simbolica non legnosa, dalla estrema personalizzazione della responsabilità del potere alla centralità della creazione di ricchezza sociale e individuale attraverso una visione popolare e di massa del capitalismo d’impresa). Renzi ha introdotto il fattore della rottura generazionale, ha messo in soffitta le pretenziose ambizioni di una classe dirigente fallita, ha mutuato dai suoi anomali predecessori il gusto della provocazione formale e intellettuale, sta cercando di usare nella politica e per la politica riformista il fattore tempo: può piacere o dispiacere, per una quantità di motivi, ma questo è il suo percorso.
Bene. Gli anomali, cioè i tre soli effettivi candidati a una leadership con vere ambizioni della nostra storia recente, quelli che hanno minacciato seriamente di durare e di stabilizzare un progetto di governo, sono sempre incappati nei colpi bassi di establishment e nella ostilità mal dissimulata quando non nella carogneria del sistema dei media e dei gruppi editoriali influenti. Gli intellettuali pubblici hanno dato il loro contributo retorico con l’abituale pomposità e grevezza di tatto. Ma il gioco grosso è stato sempre accompagnato da figure di rilievo istituzionale, spesso presenti nei loro governi (un Martelli, un Tremonti per fare solo degli esempi) o decisive per la configurazione del quadro istituzionale d’insieme (il ruolo del Quirinale sotto Scalfaro o della Banca d’Italia in altre stagioni).
[**Video_box_2**]Ecco. Assistiamo a qualcosa di già visto, con il caso Renzi. Alleanze improbabili ma significative tra manettari, costituzionalisti e sostenitori di diritti benecomunisti, padroni e padroncini di un vapore sempre più sfiatato, il Giornalista Collettivo, l’attivismo giudiziario eccetera: questo bailamme metterebbe capo a qualcosa di serio o di minaccioso se entrassero in campo, come elemento legittimante e ordinatore, personalità e funzioni di garanzia e di governo (Mattarella e Padoan, per l’appunto) all’ombra delle cui ambizioni sbagliate legioni di demagoghi si fregherebbero le mani operosamente. Registro semplicemente che per adesso di questa aspirazione a una logica di blocco dei processi di riforma e di governo, spesso evocata e invocata anche con ingenua malizia su certi giornali e in certi ambienti, e sempre all’insegna della lotta contro la mutazione genetica della Repubblica pericolosa per la democrazia, non se ne fa di niente. E molto mi compiaccio, del tutto a prescindere dalla fiducia, che ovviamente va a fasi alterne, nella qualità intrinseca del modo di governare del giovane Renzi.