De Luca e la presunzione di colpevolezza
A tre giorni dall’apertura del processo mediatico contro Vincenzo De Luca – accusato dalla procura di Roma non di corruzione come avevano lasciato intendere maliziosamente molti giornali qualche giorno fa ma di una tipologia di reato molto bizzarra (concussione per induzione) introdotta qualche mese fa dal Parlamento che offre ai magistrati una discrezionalità totale nel valutare ciò che rappresenta una condotta perseguibile moralmente e ciò che rappresenta una condotta perseguibile penalmente – sappiamo che l’indagine sul governatore campano presenta i seguenti elementi sui quali vale quantomeno la pena di riflettere. Sintetizziamo in breve la storia per capirci meglio. De Luca è accusato di aver ceduto a delle intimidazioni di un giudice che attraverso suo marito avrebbe presentato al braccio destro del presidente della regione Campania la seguente minaccia: se non accetti l’assunzione che ti chiede mio marito nel settore della Sanità, io giudice prometto di presentarti il conto dando un parere sfavorevole al ricorso fatto da te, De Luca, contro la sospensione prevista dalla legge Severino, dato che su quel ricorso sono io, giudice, a giudicare te. Il giudice si chiama Anna Scognamiglio. Il marito del giudice si chiama Guglielmo Manna. Il braccio destro (ex braccio destro) di De Luca si chiama Nello Mastursi.
Primi problemi. Uno. Il giudice dice che suo marito non poteva agire per suo conto perché giudice e marito avevano avviato le pratiche per la separazione. Due. La minaccia che se non fosse arrivata la nomina di Guglielmo Manna, marito della Scognamiglio, a un’importante carica dirigenziale nella Sanità campana ci sarebbe stata una sentenza sfavorevole è debole per due ragioni. La prima ragione è che il collegio che ha giudicato De Luca era composto da tre persone. La seconda ragione è che la nomina che sarebbe stata promessa, senza la quale ci sarebbe stata una sentenza sfavorevole, non c’è mai stata. Tre. L’unica prova che tra giudice e marito ci sarebbe complicità è una raffica di messaggini che il giudice ha mandato al marito al termine dell’udienza – “E’ fatta”. De Luca che c’entra? C’entra perché, come da copione dei processi mediatici, il presidente “non poteva non sapere” che il suo braccio destro parlava con il marito-non-marito della giudice al quale prometteva nomine che poi in realtà non ci sono mai state. Wow!
[**Video_box_2**]Al momento ciò che si sa dell’indagine è più o meno questo e il fatto che a fronte di un bottino misero custodito tra le mani del circo mediatico-giudiziario vi sia un attacco così poderoso nei confronti di De Luca non può che far sospettare un paio di cose. Che il vero nodo sia che i campani hanno un problema, come tutti gli italiani, che è quello di vedersi fare e disfare la politica con inchieste strampalate decise in procura e che in presenza di un “mostro”, come è raccontato spesso De Luca dal Giornalista Collettivo, ogni metodo è lecito pur di sbarazzarsene al più presto. I giornali sono stati molto attenti a utilizzare nel racconto dell’indagine la categoria della presunzione di innocenza solo per il giudice che avrebbe minacciato De Luca, assegnando invece al governatore campano la classica presunzione di colpevolezza. La scala dei valori del Giornalista Collettivo, anche in presenza di prove fragili e contraddittorie, prevede che l’accusa di “impunità” sia una categoria a uso e consumo esclusivo della politica, quando le storie di questi giorni, dalla procura di Campobasso a quella di Palermo, ci raccontano e ci dimostrano che anni di giustizialismo e dipietrismo chiodato hanno conferito a un nucleo di funzionari dello stato chiamati magistrati un senso assoluto di impunità. Nessuno sa dire come finirà a Napoli. Ma a dimostrazione che la presunzione di innocenza è una categoria che vale solo per i magistrati provate a chiedere al ministro Orlando se il ministero della Giustizia ha mandato oppure no ispettori per capire cosa succede al tribunale di Napoli.