Gli stivali del Cav.
Urlata o no, non si può negare che il centrodestra un’idea per sradicare il terrore dell’Is ce l’ha: guerra, ma guerra vera, con soldati sul campo e un concerto di nazioni occidentali alle spalle, unite dalla volontà di cancellare il Califfato dalla mappa geografica per meglio regolare i conti con i loro terminali insediati in Europa (Russia compresa) e negli Stati Uniti. I parrucconi della diplomazia e i pacifisti con il sangue altrui (ah, l’imbarazzo dei pacifisti…) giudicheranno velleitaria o scandalosa una simile posizione, che come un arco teso comprende Silvio Berlusconi e Matteo Salvini passando per Giorgia Meloni, e che per lo meno ha il pregio della chiarezza. Ma a ben guardare c’è anche un solido retroterra politico e militare che affonda nella controversa adesione alla coalizione dei volenterosi impegnata nel 2003 – e senza alcun mandato delle Nazioni Unite – nella missione irachena contro Saddam Hussein.
All’epoca il Cav. era un presidente del Consiglio fortissimo, beneficato due anni prima da un plebiscito elettorale senza precedenti e tenacemente ancorato a un vincolo d’alleanza storico nei confronti di Washington e Londra. La Spagna di Aznar fu della partita e le cose andarono come sappiamo. Oggi, lo smemorato o fin troppo paraculo Tony Blair ha abbandonato la resistenza al revisionismo storiografico dell’occidente autocolpevolizzante, ha chiesto scusa in modo sghembo e senza nemmeno ricavarne assoluzioni (soldi sì, in cambio di consulenze e conferenze, quelli non gli sono mai mancati). Berlusconi, a modo suo, è rimasto al proprio posto, e non sembra voler ritagliarsi il ruolo della sentinella di Pompei che si lascia travolgere, immoto, dalla lava furiosa. Tutt’altro. Fedele alla dottrina di Pratica di Mare, ovvero alla necessità strategica di un fronte centrato sull’asse Washington-Mosca, passando per Londra e Parigi e Berlino e Roma, il Cav. può mostrarsi più credibile di altri quando invoca un salto di qualità nell’iniziativa contro il nuovo Stato canaglia dei tempi nostri, quando riconosce che lo stato d’eccezione implica scelte dolorose, costose ma lungimiranti. La Lega e quel che rimane della destra non possono vantare un’analoga coerenza, eppure sono lì, attestate sulla linea dell’atlantismo inclusivo. Può essere un errore (provate a dimostrarcelo però), ma è una base politica nitida che a sinistra ancora non si vede.